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Il curioso caso di Benjamin Button (2008)

domenica 25 gennaio 2009

(The Curious Case of Benjamin Button) - USA - Drammatico - 166'
di David Fincher

La vita di Benjamin Button, un uomo nato vecchio che ringiovanisce invecchiando.

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Candidato a tredici premi Oscar, quest'anno si prevede che Benjamin Button farà manbassa di statuette dorate. Non tutti però sono d'accordo con l'Academy e inaspettatamente si sono sollevati cori di critiche tanto forti che è stato creato addirittura un fanclub anti - Benjamin Button. L'accusa principale che gli rivolgono è di essere un riadattamento, nemmeno troppo dissimulato, di Forrest Gump ('94). Curioso. E in effetti a ben guardare i due film hanno parecchi punti in comune, ancorpiù che lo sceneggiatore, manco a dirlo, è lo stesso: Eric Roth. Diciamo pure che la struttura e molti personaggi di Benjamin Button sono stati ricalcati pari pari da Forrest Gump, è innegabile. E' un buon motivo questo per non vederlo? Direi di no perché evidentemente non sono lo stesso film.

Il curioso caso di Benjamin Button ha il pregio di essere una grande storia raccontata magistralmete; la metafora sulla vita e sul tempo che passa è insaporita dal particolare gioco che si instaura con lo spettatore del "come sarebbe se" la vita scorresse al contrario. E' interessante notare che al destino è riservato un ruolo importante nel raccontare la vita, a cominciare dal padre di Benjamin, il signor Button, che produce bottoni (in nomen omen) come dal fatto che curiosamente (ancora) abbandoni suo figlio proprio alle soglie di un ospizio. Così come l'uomo ripetutamente colpito dai fulmini e il frequente richiamo al destino nei dialoghi, fino alla scena dell'incidente col taxi che è in sostanza la dimostrazione di questa visione "fatale" dell'esistenza. E' dunque vero che il tempo a nostra dsposizione va vissuto al meglio ma alcune circostanze, spesso importanti, sfuggono completamente al nostro controllo. Queste sfaccettature rendono la lettura del film meno banale di come potrebbe apparire ad una rapida visione d'insieme. Una nota di merito poi ad effetti speciali e make-up, raffinatissimi, probabilmente innovativi nel campo dell' invecchiamento / ringiovanimento degli attori.

Al contrario ho trovato poco appropriata la scelta di Brad Pitt nel ruolo di Button. Se da una parte riesce egregiamente a caratterizzare l'anzianità del suo personaggio, la sua credibilità tracolla quando si trova ad assumere le sue reali sembianze: troppo figo, troppo pompato, troppo Pitt. Non che essere Pitt sia colpa sua; in Seven ('95) e soprattutto in Fight Club ('99) era perfetto nel suo ruolo, ma qui no. Ancora, avvicinandosi alla conclusione la narrazione si sofferma troppo sulla love story togliendo spazio al finale che risulta sbrigativo e non all'altezza del brillante inizio. In un mega-metraggio della durata di quasi tre ore è lecito aspettarsi un migliore dosaggio dei tempi, o no?

Difetti che però non bastano a far crollare la solida struttura sorretta da un Fincher che ha raggiunto evidentemente un livello di maturità artistica ed umana che lo spinge a raccontare una parabola esistenziale. Uno dei migliori registi di Hollywood nonchè tra i più in in voga, sempre all'altezza della situazione, i suoi film sono tutti ottimi, più di uno memorabile, ma ai quali manca sempre quel qualcosa in più per abbracciarli senza riserve e sussurrare la parola capolavoro. Benjamin Button, in questo, non è da meno.

otto


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Strade perdute: analisi e spiegazione

martedì 20 gennaio 2009

Finita la visione di Strade perdute ('97) ho avuto per un attimo l'insano proposito di recensirlo. Idea assurda. Che lo recensisco a fare un film di Lynch? E poi cosa potrei dire io, onestamente, su Strade perdute? Che è un film in cui la trama passa in secondo piano rispetto alle visioni e allucinazioni, emozioni e sensazioni che suscita nello spettatore. Oppure che è una roba che ti tiene per oltre due ore incollato allo schermo a cercare di capire che diavolo stai guardando per poi darti un calcio in culo dicendoti: "Non hai capito? Cazzi tuoi!". Probabilmente sono giuste entrambe le definizioni, con alcune riserve però che vi andrò ad esporre più avanti.

Per adesso quello che mi preme è dare un senso, parafrasando un anziano sentenziatore, a ciò che un senso sembra non averne. Più pragmaticamente stilare una breve (o almeno, meno lunga possibile) analisi di questo film - riordinando dati e indizi noti o presunti in nostro possesso - utile per coloro i quali si tovassero nelle mie stesse condizioni pochi minuti dopo la visione; oppure per quelli che l'hanno visto in passato e non ne hanno capito una ceppa ma si sono accontentati del gaudio profuso dalle inqueitanti immagini lynchiane, convincendosi che tanto un senso non c'era. O anche per coloro i quali hanno trovato le loro risposte e troveranno comunque interessante confrontarle con le mie. In ogni caso non mi sarei mai rassegnato all'aver perso due ore di vita per il nulla, e dunque una razionalizzazione dovevo trovarla. E' impossibile però, sappiatelo, spiegare tutti gli eventi e le situazioni del film perché la maggior parte sono allegorie che si muovono spesso e volentieri al di fuori dello spazio e del tempo. Qualche speranza la si avrebbe forse chiedendolo di persona a Lynch, forse, ma da buon mago immagino che sarebbe restìo a svelare i suoi trucchi. Avido di parole, forse anche di denaro, col conto in banca che non ho, dubito di poterlo corrompere.

SPOILER: Inutile dirlo, vi consiglio di continuare nella lettura solo se avete già visto il film per non rovinarvi una eventuale futura visione, oltre che in caso contrario capireste ben poco di ciò che è scritto.


Cominciamo dalle linee generali. Fred è uno schizofrenico affetto da personalità multipla che in preda ad un raptus di gelosia uccide la moglie e poi rimuove l'accaduto dalla memoria. Accusato di uxoricidio sarà condannato alla sedia elettrica. Durante (o prima) dell'esecuzione si rifugia in un mondo parallelo, un sogno, dove impersona il giovane meccanico Pete. Pete sembra essere l'opposto di Fred, fa un lavoro manuale, odia il jazz, è un abile amatore e ha una ragazza innamorata e fedele mentre Fred, lo sappiamo, è un musicista jazz, con una moglie fedifraga e a letto ha, per usare un eufemismo, qualche problemino. Insomma Pete è un posto perfetto dove rifugiarsi per sfuggire al suo triste destino. Finché la vera vita di Fred non fa irruzione nel sogno, inizialmente con Mr.Eddie, il corrispettivo onirico di Dick Laurent, amante della moglie, e successivamente anche con Renee, la moglie, nei panni della bionda Alice, fidanzata di Mr. Eddie. Ancora Pete agisce all'opposto di Fred rubando la donna al boss (mentre nella realtà è il boss che ruba la donna a Fred), quindi Pete ed Alice scappano uccidendo Andy, l'amico di Renee che si scopre essere un regista di film a luci rosse di cui la stessa Renee era protagonista, e si rifugiano nella baita di un ricettatore. Lì, dopo l'amplesso illuminato dai fari dell'auto, Alice scompare e scompare anche Pete, facendo riapparire Fred. Da qui in poi la storia si sbroglia un po' (ma non troppo) e si vede Fred uccidere Dick Laurent con l'aiuto del personaggio misterioso che abbiamo visto più volte nel corso del film, quindi si ferma a casa sua e pronuncia le stesse parole che si sono sentite all'inizio: "Dick Laurent è morto". All'altro capo dell'apparecchio, all'ascolto, c'è lui stesso. Fatto ciò risale in macchina inseguito dalla polizia. Durante l'inseguimento Fred è scosso da violenti movimenti del capo e una luce blu intermittente illumina l'abitacolo, probabilmente la scossa della sedia elettica che mette fine alla sua vita.

Qualche domanda? Immagino di sì.

Le videocassette. Le videocassette rappresentano la verità, marchiata "nero su bianco" sul nastro. Fred ai poliziotti dichiara: "Preferisco ricordare le cose come le ricordo io piuttosto che come sono avvenute realmente". Anche Renee sembra molto spaventata alla vista della videocassetta anonima, forse per il timore che i suoi tradimenti o il suo passato poco limpido possano essere rivelati.
Ma da chi sono mandate le cassette a casa di Fred? Possiamo presumere sia stato l'uomo misterioso, nel caso in cui egli fosse un'entità corporea, cosa possibile dato che alla festa di Andy altre persone lo vedono e interagiscono con lui.
Oppure potrebbe essere Fred stesso che se le manda per tenere l'altra sua personalità aggiornata riguardo ai suoi piani di uccidere la moglie.
Il problema è che in questo caso nella seconda (e poi anche nella terza) cassetta avrebbe dovuto riprendersi da solo a letto, cosa impossibile da fare con un video in movimento. Ci sono allora due opzioni. O è l'uomo misteroso a riprendere, oppure è Fred stesso che riprende qualcun altro nel letto. I tratti dell'occupante di destra non sono infatti visibili.
Nella terza cassetta si vede Fred sul corpo martoriato di sua moglie. Chi c'è a riprendere? Due ipotesi ancora. O a riprendere è l'uomo misterioso oppure la terza cassetta è frutto di un'allucinazione di Fred; cosa molto plausibile questa, dato che si risveglia un istante dopo con il naso sulle nocche di un poliziotto.
Non è da escludere che la festa di Andy sia anch'essa frutto della fervida immaginazione di Fred in un percorso onirico volto a ricostruire gli avvenimenti. In quest'ultimo caso però la prova della corporeità dell'uomo misterioso andrebbe in fumo. Allo stesso modo è possibile che l'intera vicenda delle cassette sia falsa. In tal caso anche il colloquio coi poliziotti non sarebbe mai avvenuto realmente.

Chi è l'uomo misterioso? E' il lato oscuro, il male, l'Es, la violenza. Nella frase "Ci siamo visti a casa tua" c'è l'evidente doppio significato di casa e di mente. Vediamo che alla festa Andy riconosce l'uomo misterioso come un amico di Dick Laurent. Lo vediamo però in seguito complice di Fred nell'omicidio dello stesso Laurent. L'uomo misterioso fa dunque il doppio gioco? No. In realtà di uomini misteriosi ce ne sono tanti quante sono le persone che "lo invitano". Ognuno ha il suo, insomma. Alla festa Fred incontra l'uomo misterioso di Dick Laurent mentre il "suo" è a casa sua, nella sua mente. Anche Mr.Eddie ha il suo uomo misterioso, il suo lato malvagio, che passa al telefono a Pete, per minacciarlo. L'uomo misterioso parla a Pete e anche a lui pronuncia la frase "ci siamo visti a casa tua". E' probabile che qui l'uomo misterioso non stia parlando a Pete ma a Fred. A favore di questa ipotesi ci sarebbe un brano del copione, poi eliminato in fase di riprese, in cui l'uomo misterioso dice a Pete che "insieme abbiamo ucciso un paio di persone". Le due persone alle quali l'uomo si riferisce sarebbero proprio Renee e Dick Laurent, ovvero quelle uccise da Fred.

Della notte in cui Pete scompare ne sappiamo poco, se non che era in compagnia di un altro uomo. L'ipotesi più plausibile è che "quella notte" corrisponde all'attivazione di Pete nella mente di Fred, avvalorata dal fatto che la luce blu che Pete vede comparire fuori casa sua è la stessa che appare nella cella di Fred all'inizio del sogno. Chi fosse l'uomo in compagnia di Pete non si sa e non credo sia importante. Posso presumere fosse Fred stesso.

Non sappiamo quanto tempo Fred abbia trascorso in carcere in attesa dell'esecuzione. E' però teoria accreditata, e tra l'altro molto affascinante, che quel tempo sia già trascorso e l'intero sogno di Fred si svolga nei brevi istanti in cui la scossa letale della sedia elettrica attraversa il suo corpo. A sostegno di questa ipotesi ci sono gli sporadici lampi e tuoni che richiamano l'elettricità che in quel momento starebbe attraversando il corpo di Fred e i malesseri che accusa Pete, specialmente il sangue che esce copioso dal suo naso, dovrebbero essere gli affetti dello stress di Fred in punto di morte, che culminano nella sequenza finale in macchina. Uso il condizionale perchè si vede chiaramente che il sogno di Fred ha invece inizio in cella.
Come spiegare questa incongruenza?
- Ipotizziamo che il sogno si protragga solo per una notte o poco più. Gli spasmi di Fred nel finale sarebbero provocati in questo caso da un imminente risveglio e conseguente uscita dal sogno, con la luce blu che sta a significare non una scarica elettrica, ma un cambiamento di stato, dal sonno alla veglia. Tesi avvalorata dal fatto che tale luce appare anche in cella all'inizio del sogno.
- Si può ipotizzare anche che il sogno di Fred cominci la sera precedente all'esecuzione e si protragga nelle ore successive, fino alla sua morte, alternato a periodi di veglia che nel film non sono riportati.
- Oppure, a meno di non voler immaginare che si sia eseguita la sentenza di morte col condannato ancora addormentato, è possibile che Fred abbia vissuto le ore precedenti all'esecuzione in uno stato catatonico - ipnotico, continuando nel suo delirio senza rendersi conto di ciò che gli stava accadendo intorno.
- Ancora, è possibile che il fatto che il sogno cominci in cella sia semplicemente un non-sense come tanti e a questo punto è inutile star qui a discuterne.

Concludiamo con la scena finale in cui Fred si ferma a casa sua per comunicare a se stesso che "Dick Laurent è morto", stessa scena che vediamo all'inizio, dall'interno però dell'abitazione. Questo momento dovrebbe attivare il famoso nastro di Möbius al quale, a detta di molti, si richiama la struttura del film. Il sogno di Fred in questo breve momento dovrebbe intersecarsi con la realtà attraversando le barriere temporali e soprattuto spaziali. Questa scena fa scaturire alcune altre interessanti ipotesi. E' probabile che il Fred che era in casa, senza ricordarlo, aveva già ucciso Dick Laurent, e il suo alter-ego, tramite il citofono, glielo comunica / ricorda.
La comunicazione per via indiretta tra il Fred attivo (Talk) e quello passivo (Listen) avvalora anche la tesi che le videocassette fossero recapitate, e forse girate, dallo stesso Fred in un equivalente rapporto tra mostrare > guardare e parlare > ascoltare.
A mio vedere, lo scopo ultimo dell' auto-conversazione al citofono è quello di sigillare il film stesso in un loop infinito, destinato a ripetersi anche dopo che Fred sarà morto e il proiettore del cinema spento.

C'è da dire che in un contesto come questo, in cui la realtà e l'immaginazione sono praticamente indistinguibili, è chiaro che tutto può essere il contrario di tutto, senza certezze a cui appigliarsi si va avanti per ipotesi e congetture. Strade perdute, a parte l'esile trama che lo lega, assume infinite forme e significati a seconda di colui che si inoltra nella riflessione.

Primo della "trilogia del sogno" lynchiana, inferiore a mio vedere rispetto a Mulholland Drive (2001), ma superiore ad Inland Empire (2006).
Mulholland Drive è tutto sommato una rivisitazione perfezionata dello stesso soggetto di Strade perdute, in cui i confini tra sogno e realtà sono altrettanto spiazzanti ma più netti e quindi meglio identificabili. La rivelazione finale è di maggiore impatto, si riesce a riassaporare ciò che si è visto e se ne comprende il significato profondo, o meglio l'essenza, senza bisogno di sezionarlo ed analizzarlo, come abbiamo fatto noi qui con Strade perdute, per ovviare ad una sgradevole sensazione di smarrimento. Ma al contrario di Inland Empire, visione proibitiva per chi non abbia una altissima soglia di sopportazione, Strade perdute non stanca ed è narrativamente, sempre nel suo delirio, più lineare.

E pare proprio che alla fine dei giochi, nonostante i miei dis-intenti iniziali, in queste ultime righe una breve recensione l'abbia scritta e....

...chiedo scusa, suonano al citofono.
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Eagle Eye (2008)

giovedì 15 gennaio 2009

USA - Azione - 118'
di D.J. Caruso

Jerry Shaw è braccato dalla polizia federale e accusato di essere un terrorista. A guidarlo nella sua fuga è una misteriosa voce femminile al telefono che riesce ad osservarlo ovunque lui si trovi.

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Quando vidi il primo trailer di Eagle Eye rimasi di stucco, sembrava proprio il genere di thriller fantascientifico che piace a me. Bello, non vedevo l'ora di vederlo. Adesso che l'ho visto avrei preferito non averlo fatto.

Scritto da Steven Spielberg scopiazzando da più o meno mezzo secolo di cinema e letteratura di fantascienza, inizialmente doveva essere diretto da lui stesso ma poi si sarà reso conto della porcheria che aveva partorito e avrà preferito non averci a che fare. Chissà magari in mano sua, correggendo il tiro, poteva uscirne qualcosa di decente, e invece la patata bollente è passata al suo pupillo D.J. Caruso, che già dal nome - DJ - si può intuire che non ne verrà fuori proprio una finezza. E infatti così è stato, non un thriller ma un film d'azione con tutte le incongruenze e tamarrate che il genere di solito si porta dietro. E' inutile però prendercela adesso per quello che pensavamo che fosse o che avrebbe potuto essere. Ci rassegneremo alla realtà di un action-movie come ne sono stati sfornati a tonnellate negli anni '90 e anche dopo.

Che tipo di action-movie è? Di quelli mediocri classici, attori da fischi su dialoghi improbabili, spiegoni strampalati, fiacco moralismo, risaputo patriottismo e gente che urla "FBI! FBI!" ogni minuto. Ci sono novità però sul fronte dell' inverosimile, vera parola d'ordine di Eagle Eye. A parte, vabé, le solite acconciature che resistono impeccabili a giorni di inseguimenti, voli, esplosioni, rapine, sparatorie, lotte nel fango - non si spiega, benché il film sembri ambientato ai giorni nostri, perché qualsiasi apparecchio elettronico, dalla televisione ai treni, sia collegato in rete e manovrabile a distanza. Vedere poi captare le voci dalle vibrazioni di una tazza di caffé, sul serio, è davvero troppo.

I richiami a Kubrick e Asimov non si contano, ma appaiono sin da subito fastidiosi plagi da parte di qualcuno a corto di idee; così come gli intenti di denuncia politica e sociale, tanto sbandierati da risultare ridicoli, si annullano all'interno della sceneggiatura stessa che si auto-contraddice in un molto paraculo alternarsi di patriottismo e anti-patriottismo. Ci sarebbe altro da dire ma per far questo rischieremmo di rivelare particolari del film rovinandone la visione ai temerari di bocca buona che lo andranno a vedere. Per tutti gli altri la rassicurazione che non si saranno persi nulla.

quattro e mezzo


Al cinema dal 20 Febbraio
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The Millionaire (2008)

martedì 13 gennaio 2009

(Slumdog Millionaire) - UK/USA - Drammatico - 120'
di Danny Boyle

Siamo in India. Il nuovo concorrente della trasmissione "Il Milionario" è il giovane inserviente di un call center cresciuto nelle baraccopoli di Bombay. Inaspettatamente il ragazzo indovina tutte le risposte del quiz suscitando le invidie del presentatore. Sospettato di avere imbrogliato ed interrogato dalla polizia ripercorrerà tutti i momenti della sua breve ma intensa vita ai quali è legata ognuna delle domande alle quali ha risposto.

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E' di ieri la notizia che The Millionaire, ultima fatica del versatile Danny Boyle, ha vinto nientepopodimeno che quattro (dicasi quattro) Golden Globe, tra cui per il miglior film. Boyle non è certo l'ultimo arrivato; anche se fa cinema da relativamente poco (1995 il primo) ha sfornato film del calibro di Trainspotting ('96), la pellicola simbolo in fatto di droga, che in merito ha detto e mostrato tutto ed anche di più, e la cui scena del bambino che cammina sul soffitto è uno stra-cult alla pari, chessò, dello spider-walk dell'Esorcista. Ha mai vinto un Golden Globe, Trainspotting? No. Figurarsi quattro. The Beach (2000), massacrato da critica e pubblico quando uscì, col tempo rivalutato, oggi quasi un bel film. 28 giorni dopo (2002), horror realizzato con quattro soldi che dopo quarant'anni di zombies romeriani inaugura finalmente un nuovo genere di non morti mescolandoli con i vampiri. Vabè, è un film di genere. Però. Sunshine (2007), un fantascientifico come non se ne vedevano dai tempi di Alien ed Abyss (per non scomodare Kubrick) - praticamente ignorato, passato inosservato come fosse trasparente. Non ha vinto niente di niente, non un premio che fosse uno, nemmeno una coccarda ad una sagra di paese.

Ed eccoci oggi a The Millionaire la storia di un ragazzo cresciuto nelle favelas indiane, del fratello teppistello e della sua bella da salvare. Una storia come ne sono state raccontate tante se non fosse che il tutto ruota intorno alla puntata de "Il Milionario" versione indiana, con un presentatore tanto bastardo quanto poco credibile: sarà che siamo abituati a Gerry Scotti ma questo sembra il gemello di Kurt Russell. I poliziotti da aguzzini si trasformano in pochi minuti in giornalisti, utili a farci raccontare la vita del giovane slumdog attraverso le domande dello show. Espedienti, questo sono, per giustificare due ore di biografia tutto sommato poco interessante. Certo, l'infanzia difficile, la povertà, le torture, la mamma che prende fuoco, sono tutte tristezze che fanno pensare, ma sono anche quel genere di cose che fanno presa sulle masse tendenzialmente avvezze a farsi abbagliare da sentimenti preconfezionati, specie se in una struttura narrativa originale. Spogliato della peculiarità del quiz televisivo e della sempre ottima regia di Boyle, quel che rimane è niente di nuovo sotto il sole.

sei e mezzo Leggi tutto...

Al cinema: Lasciami entrare

venerdì 9 gennaio 2009

Esce oggi nelle sale italiane Lasciami entrare, horror svedese che abbiamo recensito qui a Novembre in anteprima.
Inutile dirvi che è stra-consigliato. Inutile dirvelo. Leggi tutto...

Sette anime (2008)

(Seven Pounds) - USA - Drammatico - 123'
di Gabriele Muccino

Un ispettore delle tasse nasconde uno straziante rimorso, una colpa che cerca di espiare aiutando sette persone, sette anime.

Se dovessimo fare un'analisi mucciniana di Sette anime potremmo dire che si distacca finalmente da alcuni tratti tipici della filmografia precedente del regista che cominciavano ad apparire come catene. Muccino ha dedicato praticamente l'intero lavoro in Italia alla classe borghese e alla sua analisi, e nel suo penultimo film al raggiungimento di essa. Qui forse siamo di fronte al cerchio che si chiude con un moderno San Francesco che si spoglia di tutto per donarlo al prossimo.
Il personaggio femminile, di solito rappresentato come un isterico ostacolo alla libertà e felicità dell'uomo, in Sette anime nei panni di una bellissima e sofferente Rosario Dawson è fulcro di una vera e particolare storia d'amore oltre che il mezzo e lo scopo che fa compiere a Smith i gesti più umani che Uomo possa compiere.

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E' anche vero che parte dei risultati ottenuti oltreoceano dal director romano siano da attribuirsi al sodalizio con il premiato attore statunitense. Ho visto e sentito Will Smith recitare il miglior "è delizioso" assaggiando un pessimo pasto, che decenni di analoghe scene ricordino - e dietro il sorriso affabile che propone a coloro a cui porta aiuto riesce a far trasparire tutto il dramma di un'anima violata ed agonizzante. Se qualcuno avesse ancora qualche dubbio sulle doti di questo attore, qui davvero qualsiasi obiezione dovrà crollare sotto il peso di un innegabile talento. Ma come spesso il regista riesce a far apparire attori scadenti come professionisti, viceversa senza una buona guida anche il miglior attore si perde nei meandri della mediocrità. Muccino si rivela ancora una volta un ottimo burattinaio, dopo La ricerca della felicità (2006), titolo pessimo per un film davvero notevole e per me il suo migliore, qui non si smentisce e dà la riprova che il viaggio negli States gli ha giovato. Sette anime è il frutto di una mano esperta, che sfiora il melodramma senza toccarlo mai, che scopre le carte con sincerità al momento giusto, facendoci vivere i minuti precedenti non come un'attesa ma intensamente. A guardarlo con attenzione c'è anche da imparare qualcosa sull'umanità e la sua natura, e che se navighiamo in cattive acque essere "a good man" aiuta a ricevere aiuto.

Mi dispiace che la critica americana lo abbia accolto con una rara freddezza, e lo stesso trattamento sembra gli sia già stato riservato qui in patria, non ancora uscito in sala. Ma non crediate a ciò che si legge in giro. Guardatelo e poi, se volete, giudicate.

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The Strangers (2008)

martedì 6 gennaio 2009

USA - Horror - 85'
di Bryan Bertino

"Perché ci fate questo?"
"Perché eravate in casa."

Una coppia al ritorno da un matrimonio si ferma nella isolata casa al mare dei genitori di lui. Quella notte saranno presi di mira da misteriosi individui in maschera che ingaggeranno un sanguinoso gioco al gatto col topo.

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I primi venti minuti sono veramente da brivido, terrore puro, suspense alle stelle. Da provare. Bertino gioca benissimo con la macchina da presa, con i rumori, la musica del giradischi e crea un ambiente davvero inquietante. Purtroppo col passare del tempo la tensione e il mistero calano e gli attimi di paura sono dovuti unicamente ai pop-up di cui il regista fa largo uso. Verso la metà il film perde decisamente mordente, il ragazzo si allontana lasciando la sua fidanzata da sola; un atto questo ingiustificato, di quelle forzature di sceneggiatura per separare i protagonisti che infastidiscono parecchio. Comunque, il film procede, e più si va avanti più lo spettatore cerca di capire a cosa stia assistendo, chi siano questi assalitori, perché siano lì. Peccato che non ci sia nessun perché e perchì, nessuna spiegazione vi sarà data, qualsiasi domanda rimarrà senza risposta e gli aguzzini resteranno senza faccia e senza nome; come per i teppisti del carpenteriano Distretto 13 non viene svelato nulla di loro, allo scopo di accentuarne l'aura sovrannaturale e in questo caso anche per alimentare le aspettative di un già annunciato The Strangers 2. Il finale discretamente insulso contribuisce alla mia globale delusione per questo horror.
Opera prima di un regista esordiente, traspare un certo talento dalle immagini. Vedremo cosa saprà fare in futuro. Visti gli incassi prevedo che non dovremo aspettare a lungo.

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WALL-E, il più bel film del 2008

domenica 4 gennaio 2009

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Molto è stato scritto in ogni dove, e non è detto che un giorno di questi anche il sottoscritto non spenderà due righe, o forse duemila, per parlare del robottino dal cuore d'oro Pixar. Per ora basti dire che di capolavoro si tratta, un capolavoro di animazione e non solo; un film che scalda l'anima e ci fa ricordare perché il cinema ci piace così tanto. Leggi tutto...

Be Kind Rewind (2008)

sabato 3 gennaio 2009

USA - Commedia - 94'
di Michel Gondry

A causa di un incidente si cancellano tutti i nastri di una vecchia videoteca con problemi finanziari. Per evitare il fallimento i due ragazzi che vi lavorano si improvvisano registi e attori reinterpretando i grandi capolavori del cinema.

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Eccoci tornati dopo le abbuffate festaiole, appanzati ed ubriachi d'amore, a riprendere le fila delle cinecensioni che avevamo lasciato due settimane fa, prima che scoppiasse il caos natal-capodannesco. Al mio ritorno ho visto che nei blog dei miei colleghi cinebloggettari è usanza il classificone, una lista dei migliori film dell'anno appena trascorso. Noi per quest'anno ne faremo a meno ma le classifiche mi hanno dato modo di notare un fatto strano che non avrei mai detto: l'apprezzamento al di là di ogni più rosea aspettativa per Be Kind Rewind, ai primi posti di quasi tutte le graduatorie. Una commedia che avrei congedato come mediocre senza pensarci troppo, non fosse stato per i plausi a mani alzate urbi et orbi che mi hanno costretto ad una riflessione più profonda per convincermi del tutto che il mio giudizio fosse fondato.

A quanto pare è sufficiente un po' di cinefilia spicciola,
della serie "basta una cinepresa per fare cinema" e un po' di cine-citazioni dotte e non, per assicurarsi l'approvazione dei cinefili più incalliti, mantenendosi le spalle coperte col commediofilo del sabato sera al quale basta la faccia di Jack Black per sbellicarsi dalle risate. Risate per noi poche invece, ma l'idea del vecchio VHS che sopravvive alle grinfie della asettica modernità in DVD deve aver fatto piangere fiumi di lacrime a chi è cresciuto con le cassette della Disney. L'ultimo quarto d'ora oggettivamente "in più" ed il finale dichiaratamente alla Frank Capra mettono la parola fine alle speranze di una svolta convincente ai primi simpatici minuti e ad un'idea forse interessante ma che si trascina in una curva di sempre crescente ripetitività. Forse meno che mediocre, quel voto in più se lo guadagna per il titolo, elemento migliore del film, e le cine-citazioni che in fondo hanno toccato anche il nostro cine-cuore.

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