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Totoro

venerdì 9 ottobre 2009

Ma sono l'unico, al mondo, a cui non piacciono i film di Miyazaki? Cerco su internet, per non sentirmi sbagliato, per non sentirmi da solo. Ma niente, nessuno. I detrattori di Miyazaki, se ci sono, non escono allo scoperto. Forse si riuniscono in qualche circolo segretissimo stile carboneria? Chissà. Casomai, voglio una tessera. Chi timidamente tasta il terreno, avanzando una minima perplessità - roba soft, del tipo "vi è piaciuto?" - viene subito tacciato di essere, a turno: scemo, cattivo, ignorante, materialista, triste, senz'anima, gay, lesbo, negro, razzista, cinese, musulmano, repubblicano, fan di Paolo Meneguzzi. Mi ricorda tanto il sillogismo secondo cui chi non ama berlusconi è comunista. Uscito quest'anno in Italia, Totoro risale al 1988, quando io avevo sei anni, e penso che mi sarei annoiato a morte già allora, figuriamoci adesso. Che fare, mi rassegnerò a bruciare all'inferno, nel girone dei takahatiani, dove per contrappasso proiettano Ponyo, i teletubbies e la melevisione a ciclo continuo. E amen. Leggi tutto...

Drag Me to Hell, e passa la paura

domenica 4 ottobre 2009

Un film così puoi farlo solo se sei Raimi. Chiunque altro sarebbe stato ridicolo. E allo stesso tempo questo film ridicolizza tutti coloro che nell'ultimo decennio hanno prodotto roba del genere prendendosi sul serio. Raimi si innalza al di sopra della sua stessa arte (vedi The Gift) e alla vagonata di mediocrità a cui ha, non so perché, probabilmente per soldi, prestato il nome (Boogeyman, 30 giorni di buio, The Grudge, The Messengers), e al contempo scende al livello dello spettatore, come un mago che svela i suoi trucchi, divenendone complice. E qui non siamo di fronte al classico pacchiano splatter semi-comico, e siamo ben oltre anche agli stessi raimiani Evil Dead. Qui possiamo assistere ad un qualcosa di molto più grottescamente raffinato. Ossimori, dicotomie, antitesi. Serio e faceto, dramma e commedia, riso e terrore, estremi che sempre si attraggono, ma raramente si incastrano così precisamente, si fondono così armoniosamente, creando il perfetto horror da intrattenimento. Leggi tutto...

District 9. La nuova frontiera della fantascienza?

martedì 29 settembre 2009

Se questo è il futuro della fantascienza, bella merda. La fantascienza racconta l'incredibile rendendolo credibile. Blomkamp invece non si prende questo disturbo e infatti District 9 è tutto all'insegna dell'inverosimile. Guardàtelo, io ve lo consiglio, è un bel film d'azione. Anzi se si pensa che è il prodotto dell'unione di un mediocre come Peter Jackson con un grafico pubblicitario, il risultato è più che soddisfacente. Ma per fare roba memorabile ci vuole ben altro. Tra un mese farà già parte del tutto. Spero. Leggi tutto...

Videocracy : una strage annunciata

Il titolo non sarà il massimo dell'originalità, ma il contenuto lo è. Il regista, questo Erik Gandini, dev'essere un gran figlio di buona donna. Corona dice di lui che è "un furbo", e detto da Corona, che non è certo l'ultimo dei coglioni, è un bel complimento. Nonostante Videocracy racconti una storia già arcinota al telecittadino italiano, Gandini ha fatto in modo che il ripasso risulti piacevole, e che anche i più informati e smaliziati possano apprezzare un paio di gustose, inedite e inaspettate sequenze. Chi non ha interesse ad ammirare Corona, uccello al vento, che si masturba sotto la doccia, potrà inorridire alla vista di un orgoglioso Lele Mora che proietta sul suo cellulare svastiche ed effigi del fuhrer, accompagnate dalle note di "Faccetta nera".

E' giusto però ricordare come un uomo, più di trent'anni fa, in tempi non sospetti, quando l'Italia berlusconiana era immaginabile solo da un eroinomane in overdose, già allora, deriso anche da un Biagi inaspettatamente garantista, urlasse al vento, inascoltato, la malvagità della diabolica scatoletta: "Non considero niente di più feroce" - diceva - "della banalissima televisione".

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Il blog si involve ed evolve, ovvero si evolve involvendosi

Dopo la lunga pausa estiva passata a meditare su questo argomento ho deciso di rivedere l'impostazione dei post. Essi assomiglieranno molto meno ad una recensione canonica. Tolto quasi ogni schema predefinito (trama, info, voti, foto...) chi vorrà si godrà quel che resta. Questo favorirà la lettura di chi leggerà, e la scrittura di chi scriverà, rendendole più piacevoli e veloci da entrambe le parti.

Buona visione. Leggi tutto...

Juno (2007)

martedì 28 luglio 2009

USA - Commedia - 92'
di Jason Reitman

- Hai saputo? Juno MacGuff è incinta.
- Sì.
- Hai saputo che è tuo?

Una studentessa del liceo dal carattere singolare rimane incinta di un suo compagno di scuola. Decide di non interrompere la gravidanza, ma di affidare il figlio, quando nascerà, a una giovane coppia desiderosi di diventare genitori.

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Dal regista di quella piccola perla che è Thank You For Smoking (2005), onestamente mi aspettavo qualcosa di più. Non che il film sia brutto, ma Juno manca fondamentalmente di credibilità. Di solito le commedie non hanno l'onere di essere credibili, ma da Juno, forse per l'argomento trattato e nonostante l'atmosfera gioviale, filtra una continua aria di serietà, e per questo i bizzarri comportamenti e reazioni dei personaggi, protagonista in testa, risultano spesso inverosimili. Quando ho visto la faccia dei genitori dopo aver saputo che la figlia sedicenne fosse incinta, ho sentito il forte impulso di cambiare canale. L'espressione era identica a prima.
Comunque superatato il punto di non ritorno e lasciandosi trasportare dall'andazzo, il film dopo la prima mezz'ora recupera, e ci si può dedicare ad apprezzarne altri aspetti, come la non comune ed anche inaspettata bravura da caratterista di Ellen Page. Lodi, lodi, lodi ad Ellen Page, davvero. Mi spiace solo che non si veda più spesso in giro. Darle già solo la metà della frequenza filmografica di Natalie Portman - con cui a questo punto, in quanto a capacità, se la gioca - sarebbe cosa buona e giusta. Una bravura, quella della Page, che riesce persino ad andare oltre l'orribile doppiaggio di Alessia Amendola, e non è poco. Sembrava una di quelle puntate dei Simpson nelle quali invitano qualche personaggio famoso, gente che col doppiaggio non c'entra nulla, a fare il doppiatore. Ci sono tanti doppiatori scarsi che riempiono le puntate dei telefilm, e non si nota. Ma se uno di quelli lo prendi e lo schiaffi in un film, si nota, eccome.
Tornando al film - che dire - il fatto che in Juno non si scorga mai un briciolo di istinto materno può anche giustificare una ragazzina che dopo aver dato ad un'estranea il proprio figlio appena nato, torni allegramente a suonare la chitarra col suo fidanzatino / padre. Ma tirando le somme a fine visione, ci si rende conto che un così forte scollamento dalla realtà, priva l'intero film di qualsiasi significato.

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Harry Potter e il principe mezzosangue (2009)

lunedì 20 luglio 2009

(Harry Potter and the Half-Blood Prince) - UK/USA - Fantasy - 153'
di David Yates

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Il fatto che quella di Harry Potter sia una saga non dovrebbe impedire a chi di dovere di realizzare un qualcosa (stiamo parlando di oltre due ore di proiezione) che abbia senso di esistere anche da solo, invece di essere un mero passaggio tra il film precedente e quello successivo. Non so se questa linea rispecchi l'andamento originale del romanzo, ma so che fino alla camera dei segreti non sembrava di assistere agli episodi di un film a puntate. Se pensiamo poi che le due parti del prossimo ed ultimo film saranno distribuite a un anno di distanza l'una dall'altra, sarebbe meno snervante aspettare il 2011 per guardarsi gli ultimi quattro episodi, o capitoli chedirsivoglia. Non ha senso andare periodicamente al cinema per tenersi aggiornati sugli sviluppi di una storia che chi ha letto i libri o si è fatto un giro su Wikipedia conosce già perfettamente.

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Coraline e la porta magica (2009)

venerdì 19 giugno 2009

(Coraline) - USA - Animazione - 89'
di Henry Selick


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Coraline è il quarto film di Henry Selick. Chi è Henry Selick? Selick è il regista di Nightmare Before Christmas. No, non è Tim Burton, Henry Selick si chiama, ma non vi biasimo se non lo conoscete, dato che non ha nemmeno una misera voce sulla Wikipedia italiana (forse adesso qualcuno provvederà) anche se ha diretto una delle icone culturali del decennio passato, e che adesso torna alla ribalta con un altro film in stop motion. Guardando Coraline viene da pensare che ne è passata di acqua sotto i ponti dai tempi di Pingu, e lo stop motion ha raggiunto un livello di raffinatezza visiva mai visto fino adesso, nemmeno in produzioni recenti come La sposa cadavere. Ed è davvero uno spettacolo osservare la dinamicità con cui si muovono le marionette e i loro volti incredibilmente espressivi. La contrapposizione cromatica tra il grigiore della vita reale e i fasti del mondo parallelo in cui si rifugia Coraline funziona alla perfezione, e una trovata apparentemente semplice di due bottoni al posto degli occhi basta a trasmettere una strana inquietudine nello spettatore. Tuttavia, per quanto la chiave di lettura di denuncia alla futilità e pericolosità delle (false) apparenze sia molto interessante, il furbo trailer montato come fosse un horror trae in inganno,
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perchè Coraline è e rimane un film per bambini, con poche battute di spessore, unica forse quella di Wybourne sulle aspettative dettate dai nomi, e con un intreccio narrativo fin troppo lineare. Ovviamente però le favole sono favole e per quanto semplici, possono essere apprezzate anche dai grandi, specie se presentate in una confezione del calibro di Coraline.

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Diario di una ninfomane (2008)

giovedì 18 giugno 2009

(Diario de una ninfomana) - Spagna - Erotico - 95'
di Christian Molina

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Con una locandina così, in effetti non potevo non guardarlo. E a guardarlo bene risulta un film innocuo, che vorrebbe stupire con scene di sesso affatto scandalose, poco interessanti e tutt'altro che innovative, e con un argomento, la ninfomania, già più volte sondato dal cinema in precedenza. Per quanto possa suscitare interesse nella prima mezz'ora e nonostante gli amplessi tengano viva l'attenzione, il film si ripiega su se stesso risultando inutilmente prolisso. E' da apprezzare la prova della protagonista, notevolmente superiore a tutti gli altri attori, la bella fotografia e il montaggio creativo, ma purtroppo dialoghi improbabili e situazioni fiacche non aiutano le evidenti buone intenzioni di una riflessione sulla difficile sessualità della donna, tema continuamente tirato in ballo e mai risolto in modo soddisfacente. In definitiva un film destinato al capientissimo e stracolmo pozzo delle inutilità. Ma complimenti alla locandina.

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Star Trek (2009)

mercoledì 13 maggio 2009

USA - Fantascienza - 126'
di Jeffrey Jacob Abrams

Il mondo di Star Trek non ha nulla a che vedere col mondo di JJ Abrams. Il substrato di integrazione interrazziale della serie televisiva e le riflessioni umane e filosofiche, scompaiono nel ritmo serrato e asettico del film del creatore di Lost e Cloverfield. Gli attori sembrano tutti usciti da un qualche serial per adolescenti (e probabilmente lo sono) mentre la trama forzata e sempliciotta non è così importante quanto l'azione estrema, le botte da orbi e i combattimenti galattici che riempiono la proiezione. Un film spaccone e spettacolare come c'era da aspettarsi - che sia bello tosto è indubbio, e che le precedenti traposizioni per il grande schermo della saga fossero produzioni mediocri è ancor di più fuori discussione - ma lo Star Trek di Abrams non è il vero Star Trek, sappiatelo.

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Mostri contro alieni (2009)

mercoledì 1 aprile 2009

(Monters vs. Aliens) - USA - Animazione - 94'
della Dreamworks Animation

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L'incipit è interessante e le risate di gusto non tardano ad arrivare, anche se, a dire il vero, la comicità si fa a tratti un po' pacchiana. Ma al di là dell'uomorismo c'è, purtroppo, il nulla più assoluto. La trama scontatissima, prevedibile oltre ogni limite, che procede con una linearità disarmante, priva di qualsiasi retroscena, riprende i temi di diversità e amicizia coi quali la saga di Shrek ci ha ammorbati già abbastanza. Lo script, insieme ai personaggi, dello spessore di un foglio di carta, fanno di Mostri contro alieni il peggior film di animazione della Dreamworks, e quando parliamo della Dreamworks Animation, quella che dovrebbe fare concorrenza alla Disney/Pixar (vi piacerebbe!), uno si aspetta qualcosa di più.

In breve c'è questa tizia, Susan, che nel giorno del suo matrimonio viene colpita da una sorta di meteorite, che non la uccide, come si potrebbe pensare, ma la fa diventare gigantesca. Catturata dall'esercito, si ritrova in una base segreta dove facciamo insieme a lei la conoscenza del resto della cricca di mostri che faranno da tappezzeria per la restante ora abbondante. C'è una blatta umana che si chiama dottor Scarafaggio (quando si dice l'originalità), un pesce antropomorfo chiamato Anello Mancante (ma non era tra uomo e scimmia l'anello mancante?), poi B.O.B. rivisitazione goliardica del fluido che uccide, e infine l'Insettosauro, una specie di animale domestico dalle dimensioni di un centro abitato. Insieme dovranno fronteggiare il malvagio alieno Gallaxhar intenzionato a conquistare la Terra.

Non posso dire che Mostri contro alieni sia brutto, ma se lo paragoniamo, per dire, a Monsters & Co. (guardacaso della Pixar) molto più spartano nei disegni ma molto più raffinato nella confezione, si vede proprio la differenza vera tra un film e una banale operazione commerciale. Del 3D non ne so parlare, dato che l'ho visto in due dimensioni, ma dubito che riesca a trasformarlo, da solo, in un capolavoro.
Al limite, fatemelo sapere.

sei


Da Venerdì al cinema
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Ponyo sulla scogliera (2008)

venerdì 20 marzo 2009

Giappone - Animazione - 100'
di Hayao Miyazaki

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Devo ammettere che di animazione giapponese ne so poco, e in particolare di Miyazaki conoscevo solo la serie di Conan, che seguivo da bambino in tv. Ma leggendo le parole spese per Ponyo sulla scogliera (capolavoro, magia, lacrime, brividi) forse ero partito con troppe aspettative. Ho apprezzato tantissimo i disegni: fluidi, dinamici (vedi la scena di Ponyo che corre sulle onde) e bellissimi con il loro fascino di "carta e colori" ai quali ultimamente ci hanno disabituati. D'altro canto la mancanza di un vero antagonista, la scarsa prospettiva sui personaggi, la trama poco nitida, fanno sì che Ponyo non vinca la sfida con la durata, appiattendosi ed allungandosi, particolarmente nella seconda metà. Forse più adatto ai bambini che agli adulti. Nel complesso, per me, deludente.

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Watchmen (2009)

sabato 14 marzo 2009

USA - Azione - 162'
di Zack Snyder

Dio esiste, ed è americano.

Nell'universo parallelo di Watchmen, uomini comuni si mascherano per combattere il crimine. Messi al bando dal governo, gli eroi mascherati si adattano a condurre, chi più, chi meno, vite normali. A distanza di anni uno di loro viene assassinato e mentre questo avvenimento scuote i vecchi membri del gruppo, il mondo è alle soglie di un olocausto nucleare.

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Posso recensire Watchmen senza aver letto il fumetto? Posso? Ma sì, dai. Perché a sentire qualche commento di cine-fumettari, per loro la visione del film senza la previa consultazione dei 12 albi di Watchmen (magari copia originale autografata da Alan Moore) sarebbe stato un peccato mortale imperdonabile. Secondo questo ragionamento avrei dovuto leggermi Batman, Spiderman, X-Men eccetera prima di essere degno di metter piede al cinema. Figuriamoci. E infatti mi sono goduto lo spettacolo dei Watchmen tranquillamente senza bisogno del fumetto. Una successiva letta a Wikipedia mi ha apportato una ulteriore erudizione (come scrivono i carabinieri nei verbali: "il suddetto Tizio Caio ci erudiva riguardo i fatti avvenuti") sull'argomento.

E poi, devo scrivere di Watchmen, lo devo a Beatrice, la promoter del Watchmen viral marketing che mi ha contattato qualche settimana fa via email esordendo così: "Gentile Redazione de il Proiezionista". Toccare così subdolamente il mio ego, lasciando intendere che io e il mio portatile siamo una redazione, è una gentilezza che va ricambiata.

Comunque, siamo sinceri, avrei scritto di Watchmen ugualmente, perché è un film che merita. Merita il suo essere crudo, truculento, erotico, violento, sincero e per certi versi colto. S'era mai vista una scopata seria in un cinefumetto? Non mi pare. E se non è una botta di cultura questa, ditemi voi.

Ma Watchmen è colto davvero, perché il confine tra il bene e il male è sottile, lo sappiamo, e Watchmen non solo ce ne dà una allegorica dimostrazione, ma ci trascina noi stessi in questa malsana ambiguità. C'è davvero un cattivo e ci sono davvero i buoni? Risposta difficile da dare a fine visione, come difficile è suscitare tale dubbio a tal domanda. E' merito questo della novella o del regista? Sicuramente per rovinare sittanto script bisognava essere sul serio un vanzina qualunque, ma Snyder fa valere la sua mano autorevole; autorevolezza che già aveva dimostrato in 300 e ancor prima, in tempi non sospetti, si poteva intuire qualcosa nel remake del cult di Romero. Qui però siamo decisamente una spanna sopra, e se continua con questo ritmo di miglioramento, calcolando che Snyder ha appena 43 anni, possiamo a ragione aspettarci grandi cose in futuro.

Tempi duri da oggi in poi per i marvel-movies, con Watchmen come termine di paragone. Molto duri.

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Gran Torino (2008)

mercoledì 11 marzo 2009

USA - Drammatico - 116'
di Clint Eastwood

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Ogni volta che mi appresto a vedere un film di Eastwood ho sempre il presentimento che non mi piacerà, che non farà per me, ed ogni volta, puntualmente, sono smentito dall'infinito Maestro Clint che d'altronde, nella sua carriera, ci ha regalato perle non da poco. Ma stavolta è diverso, stavolta abbiamo il privilegio di osservare un Clint Eastwood attore che, alle soglie degli ottant'anni, non ha perso una virgola della sua presenza scenica. Lo sguardo è ancora quello di "Biondo", profondo come un abisso, ed ogni sua espressione è oggi, come allora, un film a sè. Magnifico Clint e magnifico Gran Torino, dal primo all'ultimo fotogramma.

nove


Da Venerdì al cinema
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L'onda (2008)

mercoledì 25 febbraio 2009

(Die Welle) - Germania - Drammatico - 107'
di Dennis Gansel

L'onda è il nome di un movimento di stampo fascista, formato da ragazzi di una scuola superiore tedesca impegnati nella simulazione di un sistema autarchico. In breve tempo però le dimensioni del fenomeno sfuggono al controllo dello stesso insegnante responsabile del progetto.

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La morale è lampante, lo scopo educativo anche. Può un fenomeno come il nazismo ripetersi nella Germania di oggi? La risposta, secondo Dennis Gansel, è sì, e ce lo dimostra. Il lento formarsi e trasformarsi dei protagonisti ci accompagna in una ricostruzione molto credibile di come il movimento si formi, si rafforzi, e leghi i suoi componenti attraverso il senso di appartenenza, un sentimento ed un bisogno primordiale per l'uomo, grande, vero animale sociale. E' un film istruttivo, L'onda, perché spiega molto bene, romanzando, le dinamiche e le motivazioni che stanno alla base di movimenti a forte costituzione gerarchica. Se dovesse venire il dubbio che tra il nazismo e una comitiva studentesca ci passa parecchio, bisogna ricordare che sia nazismo che fascismo nascono come movimenti e si inseriscono nei parlamenti e poi al governo proprio grazie alla loro salda fedeltà al gruppo, approfittando di un periodo di forte dispersione del potere. A sette anni da The Experiment, altro film tedesco di analisi psico-sociale, L'onda fa un evidente passo avanti in qualità. La sua forza sta nella cura a non uscire mai fuori dalle righe del credibile, soffermando la sua attenzione sui singoli, per giustificare le dinamiche del gruppo. Il prezzo di questa ricerca di realismo lo paga in termini di intrattenimento, rallentando troppo sui 3/4, ma concludendo magnificamente in un brusco ritorno alla realtà per tutti, studenti, professore e spettatori.

sette e mezzo


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Post d'attesa

sabato 21 febbraio 2009

Mi spiace essere poco presente sul blog ultimamente, ma è un periodo un po' particolare. Spero di ritornare a scrivere in queste pagine al più presto con Gran Torino, il nuovo film del maestro Clint, che ho visto in anteprima in inglese.
Portate pazienza.

Un saluto dal vostro proiezionista. Leggi tutto...

Frost/Nixon (2008)

lunedì 9 febbraio 2009

[Frost/Nixon - Il duello] - (Frost/Nixon) - USA/UK/Fra - Storico - 122'
di Ron Howard

Tre anni dopo lo scandalo Watergate che portò Richard Nixon alle dimissioni dalla Casa Bianca, un presentatore di talk show mette in gioco tutto il suo denaro e la sua carriera per realizzare un'intervista in cui spingere l'ex Presidente a confessare le sue colpe.

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E' evidente in Frost/Nixon l'impostazione tipica dei film giuridici, vedi Codice d'onore ('92) o Alcatraz ('94) (in quest'ultimo protagonista lo stesso Kevin Bacon che in Frost/Nixon è l'uomo di fiducia dell'ex Presidente). Il plot è quello classico della preparazione al confronto seguita dall'apparente imminente sconfitta che si conclude invece col colpo di reni finale dell'inquisitore che stringe il cerchio intorno all'accusato, inchiodandolo. La confessione di Nixon in questo è molto, troppo simile a quella di Jack Nicholson in Codice d'onore. In Frost/Nixon questo schema è ridotto ancora di più all'osso: le vicende private dei protagonisti hanno uno spazio marginale, e più che sulla preparazione allo scontro (richiama molto ad atmosfere da incontro di pugilato) il film si concentra sull'approfondimento di entrambi i personaggi principali affidato a pochi ma esaustivi passaggi, e sulle implicazioni che la suddetta intervista ha e potrebbe avere per loro. E' interessante notare come le due ore scorrano fluide senza che in realtà accada nulla. In questo i plausi a sceneggiatura e regia sono meritati.

Ma, io credo, gran parte dell'interesse dovrebbe essere suscitato dal ricordo: la confessione del Presidente più odiato nella storia degli Stati Uniti, il Vietnam, Kennedy, il Watergate e in generale l'aria da documentario che trasuda da questo film. Viene quindi da domandarsi: che effetto ha tutto questo sullo spettatore italiano? Probabilmente nessuno, se non quello della curiosità per l'evento in sè, ma al quale nessuna sensazione può essere legata. E' un po' come se un americano guardasse Il Divo di Sorrentino. Avrebbe sicuramente difficoltà ad andare oltre a ciò che il film mostra, per il semplice fatto che non ha idea di chi sia Andreotti, la DC, non conosce i rapporti tra mafia e governo nè l'Italia di trent'anni fa, perdendo così tutto il potere evocativo che il film possiede. Ed è quello che ho idea succeda a noi guardando Frost/Nixon: una visione non comprensibile fino in fondo.

C'è però un aspetto che per noi è sicuramente più importante che per gli americani: il giornalismo e il suo ruolo di controllo sul potere, scontato negli Stati Uniti, molto meno qui in Italia dove notoriamente accade l'opposto. In questo Frost/Nixon è una grande, forse involontaria lezione di vero giornalismo.

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Otis (2008)

giovedì 5 febbraio 2009

USA - Commedia - 100'
di Tony Krantz

Otis è un serial Killer che rapisce giovani donne, rigorosamente bionde, costringendole a simulare con lui la notte del ballo della scuola.

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A volte mi viene il dubbio che la commedia non mi piaccia. Per dire, adoro Chaplin, i Blues Brothers, Alberto Sordi, Ace Ventura e il dr. House, ma spesso capita che ciò che fa ridere gli altri a me non faccia alcun effetto. E allora quando vedo gente - gente che rispetto - sbellicarsi con Zohan esaltandone la volgare comicità mi chiedo dove stia la comicità e cosa ci sia di volgare in uno che si tromba le vecchiette. E Tropic Thunder, dio santo, una noia letale. E Zoolander. E Borat, che abbia riso una volta una. Avrebbe dovuto farmi ridere Borat, no? E Mel Brooks (perdonami Hellen)? Non fa ridere lui? Ma anche altre commedie meno estreme, la lista sarebbe lunga; per rimanere a quelle che ho citato su questo blog: Be Kind Rewind e Fratello dove sei?, come pure The Big Lebowski, a parte la scena delle ceneri al vento (quella sì, è comica). E così questo dubbio ogni tanto mi attanaglia, mi domando se non sarò per caso un ventiseienne con le palle gonfie e il muso lungo che non riesce più ad apprezzare le leggerezze, e questo mi frena spesso dal recensire le commedie. Poi però succede un fatto curioso, inaspettato, mi capita tra le mani Otis, leggo la trama, decido di vederlo, e mentre sono lì che rido di gusto alle battute di gente che parla inglese capisco che non sono io ad essere sbagliato ma è Zohan ad essere, passatemi il francesismo, una cazzatona col botto.

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Secondo lavoro di un produttore che si diletta a fare il regista, a quanto pare con ottimi risultati, Otis in patria è uscito direttamente in DVD senza passare dalle sale, mentre qui in Italia, manco a dirlo, non è arrivato. Se volete vederlo dovrete quindi "attrezzarvi" in qualche modo, con il risvolto positivo però di non avere l'ottima interpretazione degli attori, tutti, rovinata dal doppiaggio italiano. Una commedia nera come se ne trovano poche, che fa il verso ai torture horror, riuscendo a tratti meglio dei mainstream in un alternarsi di dramma ed esilarante commedia scandito alla perfezione. Le musiche molto belle e adatte, forse a volte troppo presenti, ma che definiscono ottimamente le situazioni. Brillante, intelligente, spassoso. Assolutamente da recuperare.

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Il dubbio (2008)

lunedì 2 febbraio 2009

(Doubt) - USA - Drammatico - 104'
di John Patrick Shanley

Anno 1964, in una scuola cattolica americana un prete è sospettato di riporre attenzioni particolari nei confronti di un giovane studente di colore.

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Il Cinematografo, la trasmissione della domenica notte di Rai Uno, è condotta da un presentatore che di cinema non gliene può fregare di meno, e non cerca nemmeno di nasconderlo, ma si affida alle voci di un poker di critici, sempre gli stessi, che si pronunciano sui film della settimana. C'è la mummia di Gian Luigi Rondi affiancata dalla salma femminista americana repubblicana moglie di Giuliano Ferrara, e un odiosissimo tizio coi baffi vestito sempre come se fosse caduto sul guardaroba, che mi sta sulle palle a tal punto che se capita che gli sia piaciuto un film che è piaciuto anche a me, cambio opinione sul film.
E poi ci sono Valerio Caprara e Gregorio Napoli, le due persone per le quali vale la pena di vedere questo programma.

Ed è dalla bocca di Gregorio Napoli nella puntata di ieri notte che è uscita la definizione perfetta per Il dubbio: accademia di recitazione.
Ci si lascia trasportare dalla incredibile performance dei tre attori in una solida sceneggiatura che la sostiene ampiamente per tutta la durata, offrendo anche qualche interessante spunto di analisi dei personaggi e riflessione sull'accaduto. Ma come altri film tratti da testi teatrali - vedi ad esempio Americani ('92) - Il dubbio altro non è che recitazione allo stato puro. E questo per me è già abbastanza.

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Il curioso caso di Benjamin Button (2008)

domenica 25 gennaio 2009

(The Curious Case of Benjamin Button) - USA - Drammatico - 166'
di David Fincher

La vita di Benjamin Button, un uomo nato vecchio che ringiovanisce invecchiando.

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Candidato a tredici premi Oscar, quest'anno si prevede che Benjamin Button farà manbassa di statuette dorate. Non tutti però sono d'accordo con l'Academy e inaspettatamente si sono sollevati cori di critiche tanto forti che è stato creato addirittura un fanclub anti - Benjamin Button. L'accusa principale che gli rivolgono è di essere un riadattamento, nemmeno troppo dissimulato, di Forrest Gump ('94). Curioso. E in effetti a ben guardare i due film hanno parecchi punti in comune, ancorpiù che lo sceneggiatore, manco a dirlo, è lo stesso: Eric Roth. Diciamo pure che la struttura e molti personaggi di Benjamin Button sono stati ricalcati pari pari da Forrest Gump, è innegabile. E' un buon motivo questo per non vederlo? Direi di no perché evidentemente non sono lo stesso film.

Il curioso caso di Benjamin Button ha il pregio di essere una grande storia raccontata magistralmete; la metafora sulla vita e sul tempo che passa è insaporita dal particolare gioco che si instaura con lo spettatore del "come sarebbe se" la vita scorresse al contrario. E' interessante notare che al destino è riservato un ruolo importante nel raccontare la vita, a cominciare dal padre di Benjamin, il signor Button, che produce bottoni (in nomen omen) come dal fatto che curiosamente (ancora) abbandoni suo figlio proprio alle soglie di un ospizio. Così come l'uomo ripetutamente colpito dai fulmini e il frequente richiamo al destino nei dialoghi, fino alla scena dell'incidente col taxi che è in sostanza la dimostrazione di questa visione "fatale" dell'esistenza. E' dunque vero che il tempo a nostra dsposizione va vissuto al meglio ma alcune circostanze, spesso importanti, sfuggono completamente al nostro controllo. Queste sfaccettature rendono la lettura del film meno banale di come potrebbe apparire ad una rapida visione d'insieme. Una nota di merito poi ad effetti speciali e make-up, raffinatissimi, probabilmente innovativi nel campo dell' invecchiamento / ringiovanimento degli attori.

Al contrario ho trovato poco appropriata la scelta di Brad Pitt nel ruolo di Button. Se da una parte riesce egregiamente a caratterizzare l'anzianità del suo personaggio, la sua credibilità tracolla quando si trova ad assumere le sue reali sembianze: troppo figo, troppo pompato, troppo Pitt. Non che essere Pitt sia colpa sua; in Seven ('95) e soprattutto in Fight Club ('99) era perfetto nel suo ruolo, ma qui no. Ancora, avvicinandosi alla conclusione la narrazione si sofferma troppo sulla love story togliendo spazio al finale che risulta sbrigativo e non all'altezza del brillante inizio. In un mega-metraggio della durata di quasi tre ore è lecito aspettarsi un migliore dosaggio dei tempi, o no?

Difetti che però non bastano a far crollare la solida struttura sorretta da un Fincher che ha raggiunto evidentemente un livello di maturità artistica ed umana che lo spinge a raccontare una parabola esistenziale. Uno dei migliori registi di Hollywood nonchè tra i più in in voga, sempre all'altezza della situazione, i suoi film sono tutti ottimi, più di uno memorabile, ma ai quali manca sempre quel qualcosa in più per abbracciarli senza riserve e sussurrare la parola capolavoro. Benjamin Button, in questo, non è da meno.

otto


Al cinema dal 13 Febbraio
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Strade perdute: analisi e spiegazione

martedì 20 gennaio 2009

Finita la visione di Strade perdute ('97) ho avuto per un attimo l'insano proposito di recensirlo. Idea assurda. Che lo recensisco a fare un film di Lynch? E poi cosa potrei dire io, onestamente, su Strade perdute? Che è un film in cui la trama passa in secondo piano rispetto alle visioni e allucinazioni, emozioni e sensazioni che suscita nello spettatore. Oppure che è una roba che ti tiene per oltre due ore incollato allo schermo a cercare di capire che diavolo stai guardando per poi darti un calcio in culo dicendoti: "Non hai capito? Cazzi tuoi!". Probabilmente sono giuste entrambe le definizioni, con alcune riserve però che vi andrò ad esporre più avanti.

Per adesso quello che mi preme è dare un senso, parafrasando un anziano sentenziatore, a ciò che un senso sembra non averne. Più pragmaticamente stilare una breve (o almeno, meno lunga possibile) analisi di questo film - riordinando dati e indizi noti o presunti in nostro possesso - utile per coloro i quali si tovassero nelle mie stesse condizioni pochi minuti dopo la visione; oppure per quelli che l'hanno visto in passato e non ne hanno capito una ceppa ma si sono accontentati del gaudio profuso dalle inqueitanti immagini lynchiane, convincendosi che tanto un senso non c'era. O anche per coloro i quali hanno trovato le loro risposte e troveranno comunque interessante confrontarle con le mie. In ogni caso non mi sarei mai rassegnato all'aver perso due ore di vita per il nulla, e dunque una razionalizzazione dovevo trovarla. E' impossibile però, sappiatelo, spiegare tutti gli eventi e le situazioni del film perché la maggior parte sono allegorie che si muovono spesso e volentieri al di fuori dello spazio e del tempo. Qualche speranza la si avrebbe forse chiedendolo di persona a Lynch, forse, ma da buon mago immagino che sarebbe restìo a svelare i suoi trucchi. Avido di parole, forse anche di denaro, col conto in banca che non ho, dubito di poterlo corrompere.

SPOILER: Inutile dirlo, vi consiglio di continuare nella lettura solo se avete già visto il film per non rovinarvi una eventuale futura visione, oltre che in caso contrario capireste ben poco di ciò che è scritto.


Cominciamo dalle linee generali. Fred è uno schizofrenico affetto da personalità multipla che in preda ad un raptus di gelosia uccide la moglie e poi rimuove l'accaduto dalla memoria. Accusato di uxoricidio sarà condannato alla sedia elettrica. Durante (o prima) dell'esecuzione si rifugia in un mondo parallelo, un sogno, dove impersona il giovane meccanico Pete. Pete sembra essere l'opposto di Fred, fa un lavoro manuale, odia il jazz, è un abile amatore e ha una ragazza innamorata e fedele mentre Fred, lo sappiamo, è un musicista jazz, con una moglie fedifraga e a letto ha, per usare un eufemismo, qualche problemino. Insomma Pete è un posto perfetto dove rifugiarsi per sfuggire al suo triste destino. Finché la vera vita di Fred non fa irruzione nel sogno, inizialmente con Mr.Eddie, il corrispettivo onirico di Dick Laurent, amante della moglie, e successivamente anche con Renee, la moglie, nei panni della bionda Alice, fidanzata di Mr. Eddie. Ancora Pete agisce all'opposto di Fred rubando la donna al boss (mentre nella realtà è il boss che ruba la donna a Fred), quindi Pete ed Alice scappano uccidendo Andy, l'amico di Renee che si scopre essere un regista di film a luci rosse di cui la stessa Renee era protagonista, e si rifugiano nella baita di un ricettatore. Lì, dopo l'amplesso illuminato dai fari dell'auto, Alice scompare e scompare anche Pete, facendo riapparire Fred. Da qui in poi la storia si sbroglia un po' (ma non troppo) e si vede Fred uccidere Dick Laurent con l'aiuto del personaggio misterioso che abbiamo visto più volte nel corso del film, quindi si ferma a casa sua e pronuncia le stesse parole che si sono sentite all'inizio: "Dick Laurent è morto". All'altro capo dell'apparecchio, all'ascolto, c'è lui stesso. Fatto ciò risale in macchina inseguito dalla polizia. Durante l'inseguimento Fred è scosso da violenti movimenti del capo e una luce blu intermittente illumina l'abitacolo, probabilmente la scossa della sedia elettica che mette fine alla sua vita.

Qualche domanda? Immagino di sì.

Le videocassette. Le videocassette rappresentano la verità, marchiata "nero su bianco" sul nastro. Fred ai poliziotti dichiara: "Preferisco ricordare le cose come le ricordo io piuttosto che come sono avvenute realmente". Anche Renee sembra molto spaventata alla vista della videocassetta anonima, forse per il timore che i suoi tradimenti o il suo passato poco limpido possano essere rivelati.
Ma da chi sono mandate le cassette a casa di Fred? Possiamo presumere sia stato l'uomo misterioso, nel caso in cui egli fosse un'entità corporea, cosa possibile dato che alla festa di Andy altre persone lo vedono e interagiscono con lui.
Oppure potrebbe essere Fred stesso che se le manda per tenere l'altra sua personalità aggiornata riguardo ai suoi piani di uccidere la moglie.
Il problema è che in questo caso nella seconda (e poi anche nella terza) cassetta avrebbe dovuto riprendersi da solo a letto, cosa impossibile da fare con un video in movimento. Ci sono allora due opzioni. O è l'uomo misteroso a riprendere, oppure è Fred stesso che riprende qualcun altro nel letto. I tratti dell'occupante di destra non sono infatti visibili.
Nella terza cassetta si vede Fred sul corpo martoriato di sua moglie. Chi c'è a riprendere? Due ipotesi ancora. O a riprendere è l'uomo misterioso oppure la terza cassetta è frutto di un'allucinazione di Fred; cosa molto plausibile questa, dato che si risveglia un istante dopo con il naso sulle nocche di un poliziotto.
Non è da escludere che la festa di Andy sia anch'essa frutto della fervida immaginazione di Fred in un percorso onirico volto a ricostruire gli avvenimenti. In quest'ultimo caso però la prova della corporeità dell'uomo misterioso andrebbe in fumo. Allo stesso modo è possibile che l'intera vicenda delle cassette sia falsa. In tal caso anche il colloquio coi poliziotti non sarebbe mai avvenuto realmente.

Chi è l'uomo misterioso? E' il lato oscuro, il male, l'Es, la violenza. Nella frase "Ci siamo visti a casa tua" c'è l'evidente doppio significato di casa e di mente. Vediamo che alla festa Andy riconosce l'uomo misterioso come un amico di Dick Laurent. Lo vediamo però in seguito complice di Fred nell'omicidio dello stesso Laurent. L'uomo misterioso fa dunque il doppio gioco? No. In realtà di uomini misteriosi ce ne sono tanti quante sono le persone che "lo invitano". Ognuno ha il suo, insomma. Alla festa Fred incontra l'uomo misterioso di Dick Laurent mentre il "suo" è a casa sua, nella sua mente. Anche Mr.Eddie ha il suo uomo misterioso, il suo lato malvagio, che passa al telefono a Pete, per minacciarlo. L'uomo misterioso parla a Pete e anche a lui pronuncia la frase "ci siamo visti a casa tua". E' probabile che qui l'uomo misterioso non stia parlando a Pete ma a Fred. A favore di questa ipotesi ci sarebbe un brano del copione, poi eliminato in fase di riprese, in cui l'uomo misterioso dice a Pete che "insieme abbiamo ucciso un paio di persone". Le due persone alle quali l'uomo si riferisce sarebbero proprio Renee e Dick Laurent, ovvero quelle uccise da Fred.

Della notte in cui Pete scompare ne sappiamo poco, se non che era in compagnia di un altro uomo. L'ipotesi più plausibile è che "quella notte" corrisponde all'attivazione di Pete nella mente di Fred, avvalorata dal fatto che la luce blu che Pete vede comparire fuori casa sua è la stessa che appare nella cella di Fred all'inizio del sogno. Chi fosse l'uomo in compagnia di Pete non si sa e non credo sia importante. Posso presumere fosse Fred stesso.

Non sappiamo quanto tempo Fred abbia trascorso in carcere in attesa dell'esecuzione. E' però teoria accreditata, e tra l'altro molto affascinante, che quel tempo sia già trascorso e l'intero sogno di Fred si svolga nei brevi istanti in cui la scossa letale della sedia elettrica attraversa il suo corpo. A sostegno di questa ipotesi ci sono gli sporadici lampi e tuoni che richiamano l'elettricità che in quel momento starebbe attraversando il corpo di Fred e i malesseri che accusa Pete, specialmente il sangue che esce copioso dal suo naso, dovrebbero essere gli affetti dello stress di Fred in punto di morte, che culminano nella sequenza finale in macchina. Uso il condizionale perchè si vede chiaramente che il sogno di Fred ha invece inizio in cella.
Come spiegare questa incongruenza?
- Ipotizziamo che il sogno si protragga solo per una notte o poco più. Gli spasmi di Fred nel finale sarebbero provocati in questo caso da un imminente risveglio e conseguente uscita dal sogno, con la luce blu che sta a significare non una scarica elettrica, ma un cambiamento di stato, dal sonno alla veglia. Tesi avvalorata dal fatto che tale luce appare anche in cella all'inizio del sogno.
- Si può ipotizzare anche che il sogno di Fred cominci la sera precedente all'esecuzione e si protragga nelle ore successive, fino alla sua morte, alternato a periodi di veglia che nel film non sono riportati.
- Oppure, a meno di non voler immaginare che si sia eseguita la sentenza di morte col condannato ancora addormentato, è possibile che Fred abbia vissuto le ore precedenti all'esecuzione in uno stato catatonico - ipnotico, continuando nel suo delirio senza rendersi conto di ciò che gli stava accadendo intorno.
- Ancora, è possibile che il fatto che il sogno cominci in cella sia semplicemente un non-sense come tanti e a questo punto è inutile star qui a discuterne.

Concludiamo con la scena finale in cui Fred si ferma a casa sua per comunicare a se stesso che "Dick Laurent è morto", stessa scena che vediamo all'inizio, dall'interno però dell'abitazione. Questo momento dovrebbe attivare il famoso nastro di Möbius al quale, a detta di molti, si richiama la struttura del film. Il sogno di Fred in questo breve momento dovrebbe intersecarsi con la realtà attraversando le barriere temporali e soprattuto spaziali. Questa scena fa scaturire alcune altre interessanti ipotesi. E' probabile che il Fred che era in casa, senza ricordarlo, aveva già ucciso Dick Laurent, e il suo alter-ego, tramite il citofono, glielo comunica / ricorda.
La comunicazione per via indiretta tra il Fred attivo (Talk) e quello passivo (Listen) avvalora anche la tesi che le videocassette fossero recapitate, e forse girate, dallo stesso Fred in un equivalente rapporto tra mostrare > guardare e parlare > ascoltare.
A mio vedere, lo scopo ultimo dell' auto-conversazione al citofono è quello di sigillare il film stesso in un loop infinito, destinato a ripetersi anche dopo che Fred sarà morto e il proiettore del cinema spento.

C'è da dire che in un contesto come questo, in cui la realtà e l'immaginazione sono praticamente indistinguibili, è chiaro che tutto può essere il contrario di tutto, senza certezze a cui appigliarsi si va avanti per ipotesi e congetture. Strade perdute, a parte l'esile trama che lo lega, assume infinite forme e significati a seconda di colui che si inoltra nella riflessione.

Primo della "trilogia del sogno" lynchiana, inferiore a mio vedere rispetto a Mulholland Drive (2001), ma superiore ad Inland Empire (2006).
Mulholland Drive è tutto sommato una rivisitazione perfezionata dello stesso soggetto di Strade perdute, in cui i confini tra sogno e realtà sono altrettanto spiazzanti ma più netti e quindi meglio identificabili. La rivelazione finale è di maggiore impatto, si riesce a riassaporare ciò che si è visto e se ne comprende il significato profondo, o meglio l'essenza, senza bisogno di sezionarlo ed analizzarlo, come abbiamo fatto noi qui con Strade perdute, per ovviare ad una sgradevole sensazione di smarrimento. Ma al contrario di Inland Empire, visione proibitiva per chi non abbia una altissima soglia di sopportazione, Strade perdute non stanca ed è narrativamente, sempre nel suo delirio, più lineare.

E pare proprio che alla fine dei giochi, nonostante i miei dis-intenti iniziali, in queste ultime righe una breve recensione l'abbia scritta e....

...chiedo scusa, suonano al citofono.
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Eagle Eye (2008)

giovedì 15 gennaio 2009

USA - Azione - 118'
di D.J. Caruso

Jerry Shaw è braccato dalla polizia federale e accusato di essere un terrorista. A guidarlo nella sua fuga è una misteriosa voce femminile al telefono che riesce ad osservarlo ovunque lui si trovi.

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Quando vidi il primo trailer di Eagle Eye rimasi di stucco, sembrava proprio il genere di thriller fantascientifico che piace a me. Bello, non vedevo l'ora di vederlo. Adesso che l'ho visto avrei preferito non averlo fatto.

Scritto da Steven Spielberg scopiazzando da più o meno mezzo secolo di cinema e letteratura di fantascienza, inizialmente doveva essere diretto da lui stesso ma poi si sarà reso conto della porcheria che aveva partorito e avrà preferito non averci a che fare. Chissà magari in mano sua, correggendo il tiro, poteva uscirne qualcosa di decente, e invece la patata bollente è passata al suo pupillo D.J. Caruso, che già dal nome - DJ - si può intuire che non ne verrà fuori proprio una finezza. E infatti così è stato, non un thriller ma un film d'azione con tutte le incongruenze e tamarrate che il genere di solito si porta dietro. E' inutile però prendercela adesso per quello che pensavamo che fosse o che avrebbe potuto essere. Ci rassegneremo alla realtà di un action-movie come ne sono stati sfornati a tonnellate negli anni '90 e anche dopo.

Che tipo di action-movie è? Di quelli mediocri classici, attori da fischi su dialoghi improbabili, spiegoni strampalati, fiacco moralismo, risaputo patriottismo e gente che urla "FBI! FBI!" ogni minuto. Ci sono novità però sul fronte dell' inverosimile, vera parola d'ordine di Eagle Eye. A parte, vabé, le solite acconciature che resistono impeccabili a giorni di inseguimenti, voli, esplosioni, rapine, sparatorie, lotte nel fango - non si spiega, benché il film sembri ambientato ai giorni nostri, perché qualsiasi apparecchio elettronico, dalla televisione ai treni, sia collegato in rete e manovrabile a distanza. Vedere poi captare le voci dalle vibrazioni di una tazza di caffé, sul serio, è davvero troppo.

I richiami a Kubrick e Asimov non si contano, ma appaiono sin da subito fastidiosi plagi da parte di qualcuno a corto di idee; così come gli intenti di denuncia politica e sociale, tanto sbandierati da risultare ridicoli, si annullano all'interno della sceneggiatura stessa che si auto-contraddice in un molto paraculo alternarsi di patriottismo e anti-patriottismo. Ci sarebbe altro da dire ma per far questo rischieremmo di rivelare particolari del film rovinandone la visione ai temerari di bocca buona che lo andranno a vedere. Per tutti gli altri la rassicurazione che non si saranno persi nulla.

quattro e mezzo


Al cinema dal 20 Febbraio
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The Millionaire (2008)

martedì 13 gennaio 2009

(Slumdog Millionaire) - UK/USA - Drammatico - 120'
di Danny Boyle

Siamo in India. Il nuovo concorrente della trasmissione "Il Milionario" è il giovane inserviente di un call center cresciuto nelle baraccopoli di Bombay. Inaspettatamente il ragazzo indovina tutte le risposte del quiz suscitando le invidie del presentatore. Sospettato di avere imbrogliato ed interrogato dalla polizia ripercorrerà tutti i momenti della sua breve ma intensa vita ai quali è legata ognuna delle domande alle quali ha risposto.

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E' di ieri la notizia che The Millionaire, ultima fatica del versatile Danny Boyle, ha vinto nientepopodimeno che quattro (dicasi quattro) Golden Globe, tra cui per il miglior film. Boyle non è certo l'ultimo arrivato; anche se fa cinema da relativamente poco (1995 il primo) ha sfornato film del calibro di Trainspotting ('96), la pellicola simbolo in fatto di droga, che in merito ha detto e mostrato tutto ed anche di più, e la cui scena del bambino che cammina sul soffitto è uno stra-cult alla pari, chessò, dello spider-walk dell'Esorcista. Ha mai vinto un Golden Globe, Trainspotting? No. Figurarsi quattro. The Beach (2000), massacrato da critica e pubblico quando uscì, col tempo rivalutato, oggi quasi un bel film. 28 giorni dopo (2002), horror realizzato con quattro soldi che dopo quarant'anni di zombies romeriani inaugura finalmente un nuovo genere di non morti mescolandoli con i vampiri. Vabè, è un film di genere. Però. Sunshine (2007), un fantascientifico come non se ne vedevano dai tempi di Alien ed Abyss (per non scomodare Kubrick) - praticamente ignorato, passato inosservato come fosse trasparente. Non ha vinto niente di niente, non un premio che fosse uno, nemmeno una coccarda ad una sagra di paese.

Ed eccoci oggi a The Millionaire la storia di un ragazzo cresciuto nelle favelas indiane, del fratello teppistello e della sua bella da salvare. Una storia come ne sono state raccontate tante se non fosse che il tutto ruota intorno alla puntata de "Il Milionario" versione indiana, con un presentatore tanto bastardo quanto poco credibile: sarà che siamo abituati a Gerry Scotti ma questo sembra il gemello di Kurt Russell. I poliziotti da aguzzini si trasformano in pochi minuti in giornalisti, utili a farci raccontare la vita del giovane slumdog attraverso le domande dello show. Espedienti, questo sono, per giustificare due ore di biografia tutto sommato poco interessante. Certo, l'infanzia difficile, la povertà, le torture, la mamma che prende fuoco, sono tutte tristezze che fanno pensare, ma sono anche quel genere di cose che fanno presa sulle masse tendenzialmente avvezze a farsi abbagliare da sentimenti preconfezionati, specie se in una struttura narrativa originale. Spogliato della peculiarità del quiz televisivo e della sempre ottima regia di Boyle, quel che rimane è niente di nuovo sotto il sole.

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Al cinema: Lasciami entrare

venerdì 9 gennaio 2009

Esce oggi nelle sale italiane Lasciami entrare, horror svedese che abbiamo recensito qui a Novembre in anteprima.
Inutile dirvi che è stra-consigliato. Inutile dirvelo. Leggi tutto...

Sette anime (2008)

(Seven Pounds) - USA - Drammatico - 123'
di Gabriele Muccino

Un ispettore delle tasse nasconde uno straziante rimorso, una colpa che cerca di espiare aiutando sette persone, sette anime.

Se dovessimo fare un'analisi mucciniana di Sette anime potremmo dire che si distacca finalmente da alcuni tratti tipici della filmografia precedente del regista che cominciavano ad apparire come catene. Muccino ha dedicato praticamente l'intero lavoro in Italia alla classe borghese e alla sua analisi, e nel suo penultimo film al raggiungimento di essa. Qui forse siamo di fronte al cerchio che si chiude con un moderno San Francesco che si spoglia di tutto per donarlo al prossimo.
Il personaggio femminile, di solito rappresentato come un isterico ostacolo alla libertà e felicità dell'uomo, in Sette anime nei panni di una bellissima e sofferente Rosario Dawson è fulcro di una vera e particolare storia d'amore oltre che il mezzo e lo scopo che fa compiere a Smith i gesti più umani che Uomo possa compiere.

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E' anche vero che parte dei risultati ottenuti oltreoceano dal director romano siano da attribuirsi al sodalizio con il premiato attore statunitense. Ho visto e sentito Will Smith recitare il miglior "è delizioso" assaggiando un pessimo pasto, che decenni di analoghe scene ricordino - e dietro il sorriso affabile che propone a coloro a cui porta aiuto riesce a far trasparire tutto il dramma di un'anima violata ed agonizzante. Se qualcuno avesse ancora qualche dubbio sulle doti di questo attore, qui davvero qualsiasi obiezione dovrà crollare sotto il peso di un innegabile talento. Ma come spesso il regista riesce a far apparire attori scadenti come professionisti, viceversa senza una buona guida anche il miglior attore si perde nei meandri della mediocrità. Muccino si rivela ancora una volta un ottimo burattinaio, dopo La ricerca della felicità (2006), titolo pessimo per un film davvero notevole e per me il suo migliore, qui non si smentisce e dà la riprova che il viaggio negli States gli ha giovato. Sette anime è il frutto di una mano esperta, che sfiora il melodramma senza toccarlo mai, che scopre le carte con sincerità al momento giusto, facendoci vivere i minuti precedenti non come un'attesa ma intensamente. A guardarlo con attenzione c'è anche da imparare qualcosa sull'umanità e la sua natura, e che se navighiamo in cattive acque essere "a good man" aiuta a ricevere aiuto.

Mi dispiace che la critica americana lo abbia accolto con una rara freddezza, e lo stesso trattamento sembra gli sia già stato riservato qui in patria, non ancora uscito in sala. Ma non crediate a ciò che si legge in giro. Guardatelo e poi, se volete, giudicate.

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The Strangers (2008)

martedì 6 gennaio 2009

USA - Horror - 85'
di Bryan Bertino

"Perché ci fate questo?"
"Perché eravate in casa."

Una coppia al ritorno da un matrimonio si ferma nella isolata casa al mare dei genitori di lui. Quella notte saranno presi di mira da misteriosi individui in maschera che ingaggeranno un sanguinoso gioco al gatto col topo.

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I primi venti minuti sono veramente da brivido, terrore puro, suspense alle stelle. Da provare. Bertino gioca benissimo con la macchina da presa, con i rumori, la musica del giradischi e crea un ambiente davvero inquietante. Purtroppo col passare del tempo la tensione e il mistero calano e gli attimi di paura sono dovuti unicamente ai pop-up di cui il regista fa largo uso. Verso la metà il film perde decisamente mordente, il ragazzo si allontana lasciando la sua fidanzata da sola; un atto questo ingiustificato, di quelle forzature di sceneggiatura per separare i protagonisti che infastidiscono parecchio. Comunque, il film procede, e più si va avanti più lo spettatore cerca di capire a cosa stia assistendo, chi siano questi assalitori, perché siano lì. Peccato che non ci sia nessun perché e perchì, nessuna spiegazione vi sarà data, qualsiasi domanda rimarrà senza risposta e gli aguzzini resteranno senza faccia e senza nome; come per i teppisti del carpenteriano Distretto 13 non viene svelato nulla di loro, allo scopo di accentuarne l'aura sovrannaturale e in questo caso anche per alimentare le aspettative di un già annunciato The Strangers 2. Il finale discretamente insulso contribuisce alla mia globale delusione per questo horror.
Opera prima di un regista esordiente, traspare un certo talento dalle immagini. Vedremo cosa saprà fare in futuro. Visti gli incassi prevedo che non dovremo aspettare a lungo.

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WALL-E, il più bel film del 2008

domenica 4 gennaio 2009

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Molto è stato scritto in ogni dove, e non è detto che un giorno di questi anche il sottoscritto non spenderà due righe, o forse duemila, per parlare del robottino dal cuore d'oro Pixar. Per ora basti dire che di capolavoro si tratta, un capolavoro di animazione e non solo; un film che scalda l'anima e ci fa ricordare perché il cinema ci piace così tanto. Leggi tutto...

Be Kind Rewind (2008)

sabato 3 gennaio 2009

USA - Commedia - 94'
di Michel Gondry

A causa di un incidente si cancellano tutti i nastri di una vecchia videoteca con problemi finanziari. Per evitare il fallimento i due ragazzi che vi lavorano si improvvisano registi e attori reinterpretando i grandi capolavori del cinema.

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Eccoci tornati dopo le abbuffate festaiole, appanzati ed ubriachi d'amore, a riprendere le fila delle cinecensioni che avevamo lasciato due settimane fa, prima che scoppiasse il caos natal-capodannesco. Al mio ritorno ho visto che nei blog dei miei colleghi cinebloggettari è usanza il classificone, una lista dei migliori film dell'anno appena trascorso. Noi per quest'anno ne faremo a meno ma le classifiche mi hanno dato modo di notare un fatto strano che non avrei mai detto: l'apprezzamento al di là di ogni più rosea aspettativa per Be Kind Rewind, ai primi posti di quasi tutte le graduatorie. Una commedia che avrei congedato come mediocre senza pensarci troppo, non fosse stato per i plausi a mani alzate urbi et orbi che mi hanno costretto ad una riflessione più profonda per convincermi del tutto che il mio giudizio fosse fondato.

A quanto pare è sufficiente un po' di cinefilia spicciola,
della serie "basta una cinepresa per fare cinema" e un po' di cine-citazioni dotte e non, per assicurarsi l'approvazione dei cinefili più incalliti, mantenendosi le spalle coperte col commediofilo del sabato sera al quale basta la faccia di Jack Black per sbellicarsi dalle risate. Risate per noi poche invece, ma l'idea del vecchio VHS che sopravvive alle grinfie della asettica modernità in DVD deve aver fatto piangere fiumi di lacrime a chi è cresciuto con le cassette della Disney. L'ultimo quarto d'ora oggettivamente "in più" ed il finale dichiaratamente alla Frank Capra mettono la parola fine alle speranze di una svolta convincente ai primi simpatici minuti e ad un'idea forse interessante ma che si trascina in una curva di sempre crescente ripetitività. Forse meno che mediocre, quel voto in più se lo guadagna per il titolo, elemento migliore del film, e le cine-citazioni che in fondo hanno toccato anche il nostro cine-cuore.

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