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Il ladro di orchidee (2002)

lunedì 22 dicembre 2008

(Adaptation.) - USA - Commedia - 114'
di Spike Jonze

Charlie, in crisi creativa e con sè stesso, ha il compito di adattare un libro per la sceneggiatura di un film.

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Volutamente autoreferenziale, l'autore lo ammette, questa particolare commedia dai toni amari scritta da Charlie Kaufman, già padre nel 1999 di Essere John Malkovich. L'onore, più unico che raro, per uno sceneggiatore di scrivere un film su sè stesso è da attribuirsi alla genialità, indiscutibile, di Kaufman, una botte di ferro che fin'ora non ha sbagliato un colpo e non lo ha fatto sbagliare ai registi che se ne sono avvalsi. Ma è ovvio che in Adaptation. (titolo originale) c'è ben altro, oltre all'autoreferenzialità. E' la storia di un uomo che scrive un film che racconta di come quel film sia stato scritto. Cervellotico, Kaufman, come al solito. Un po' come farsi una fotografia allo specchio, o meglio, come riprendere la tv che, collegata alla videocamera, mostra quello che stiamo riprendendo. E' un film che sembra un libro, si basa in toto sulla sceneggiatura. Fosse stato un libro l'avrei letto volentieri. Come film è difficile giudicarlo, perché in realtà più che un film è un esperimento cine-letterario, ecco. La regia quasi non si nota e con essa tutto ciò che le ruota intorno, montaggio, fotografia, si tiene in disparte per dare spazio alla narrazione che da sola ci regala finezze non da poco. Ma - la domanda è questa - può la sceneggiatura da sola fare un film? Forse no però, qualunque cosa sia, val bene una visione.

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Dimmi che film guardi e ti dirò chi sei

domenica 21 dicembre 2008

21 Novembre 2008. Intervista di Daria Bignardi al Ministro della Repubblica Mara Carfagna.

Bignardi: "Al cinema meglio Nanni Moretti o Massimo Boldi?"
Carfagna: (senza esitare) "Massimo Boldi."
Bignardi: (incredula) "Meglio Boldi di Moretti?"
Carfagna: "Sì sì, almeno Boldi fa ridere." Leggi tutto...

L'eterna idiozia dei senza cervello



Io mi immagino un ufficio di Milano dove sono sedute tre o quattro persone, fra i trenta e i quarant'anni, master in new marketing, che nella loro vita non hanno mai letto un libro che non fosse di Dan Brown e come film giusto un blockbuster alla domenica. Stanno seduti lì mentre sorseggiano il loro caffè lungo - lungo perché fa molto USA - e addentano un ciambellone, e ridendo e cazzeggiando adattano i titoli dei film stranieri in italiano, film che con tutta probabilità non hanno nemmeno visto. Quando dico "adattano" intendo dire che cercano un titolo appetibile per il maggior numero di persone possibile (loro compresi), in un range che vada dal pecoraio abruzzese ad Umberto Eco, con una spiccata propensione per il primo. Ma di corsa però, si capisce, perché tra dieci minuti comincia la riunione per discutere del calo di due punti percentuali sull'indice di gradimento delle tette di Kate Winslet. E' ovvio che tali individui non hanno niente a che vedere col cinema e con la cultura in generale, anzi ne sono l'aberrazione stessa. Ammazza-film per professione e magari lautamente retribuiti per questo.

Ecco alcuni titoli al vaglio della commissione per essere riesaminati:
The Blues Brothers sarà presto "La leggenda di Al, Jack ed Elwood" sulla scia del successo del mitico trio comico italiano. All'osservazione che nel film non esiste un personaggio di nome "Al" rispondono accusandoci di non aver guardato con sufficiente attenzione.
Full Metal Jacket lo conosceremo come "Se mi sfotti ti cancello" per mitigarne le crude scene di violenza, mentre per Philadelphia è già pronto il nuovo titolo "Sesso, droga e kulattoni" con particolare attenzione alla k di kulattoni che, dati alla mano, dovrebbe invogliarne la visione ai più giovani.
E.T. l'extra-terrestre sarà "Scoprendo E.T." dato che il prefisso extra richiama pericolosi argomenti xenofobi. Papabile anche "Mario di Gallarate" per cavalcare la rinnovata corrente nazionalista. Infine La piccola fiammiferaia diventerà "La piccola venditrice di fiammiferi", per via della parola "fiammiferaia" giudicata troppo forbita.

Vi invito a leggere il molto esauriente articolo di Cineroom a riguardo.
I titoli riportati lì sono soltanto dieci e si riferiscono al solo anno 2008. Una piccolissima parte quindi di uno scempio che si perpetua praticamente da sempre.

Per approfondire: There Will Be Blood, un blog a tema sia sugli improbabili titoli italiani che sui validi film non distribuiti in Italia. Leggi tutto...

Ultimatum alla Terra (2008)

sabato 13 dicembre 2008

(The Day the Earth Stood Still) - USA - Fantascienza - 91'
di Scott Derrickson

"Se la Terra muore, tu muori. Se tu muori, la Terra sopravvive."

Una enorme sfera atterra in mezzo al Central Park di New York. A bordo viaggiano un alieno e la sua gigantesca guardia del corpo. Sono venuti per distruggere l'umanità colpevole della progressiva distruzione del pianeta.

La sfera

Quando cominciarono a circolare i commenti di chi aveva visto in anteprima il nuovo Ultimatum alla Terra questi erano pochi ma praticamente unanimi: il film non era piaciuto. Sospettavo però che fossero critiche di "puristi" o fan del film originale del 1951 che si vedevano rubare e snaturare il loro cult - un po' come accadde nel 2005 per La Guerra dei Mondi di Spielberg. Perchè, vuoi un blockbuster dalla trama superficiale, vuoi degli attori poco convincenti, vuoi una regia debole, vuoi tutto questo insieme, ma alla fine è di fantascienza che stiamo parlando e 100 milioni di dollari in effetti speciali del terzo millennio giocano il loro ruolo, in ogni caso.
E invece mi sbagliavo, lo ammetto.
Sceneggiato da tale David Scarpa, che non ha mai scritto altro in vita sua e con un cognome che la dice lunga, e diretto da Scott Derrickson, già regista del mediocre The Exorcism of Emily Rose (2005), questa strana coppia riesce a schifare anche lo spettatore più disilluso che si pone al loro film senza grandi aspettative se non quella di vedere un paio d'ore di sano intrattenimento stile apocalittico.

Ma andiamo con ordine e analizziamo più nel dettaglio di cosa si sta parlando. Cominciamo da Gort, il robot che accompagna Klaatu nel suo viaggio. Nel film del '51 è il protagonista della locandina e nella storia un co-protagonista di grande carisma, benchè non dica una parola. Ora, non so ai tempi, ma vedendo Gort oggi il primo pensiero va al tizio che stava dentro quella pesantissima tuta di gommapiuma compatendone il caldo che doveva soffrire. Sessant'anni dopo era difficile ricreare un robot meno credibile, ed invece Derrickson realizza l'impossibile. Il robot del 2008 lo (intra)vediamo all'inizio in una pessima computer grafica che lo pone alla stregua di un cartone animato e poi per due volte, contate, possiamo ammirarne il busto. Fine.
Ecco, il magnifico personaggio di Gort aveva l'occasione di riprendere di nuovo vita nelle potenzialità dei moderni effetti speciali, essere l'asso nella manica per stupire gli spettatori, e invece la strana coppia non capisce e lo riduce quasi a tappezzeria.

GORT

Gort non è l'unico elemento a risentire della nuova sceneggiatura. Tutto appare piatto e vissuto di fretta. Klaatu non gira tra gli umani per conoscerli e valutarli ma va a zonzo all'interno di un'automobile per tutto il tempo. La scena emblematica del black-out globale si vede che è stata messa lì per forza e ci viene proposta tanto priva di contesto da apparire senza senso. Come anche il professor Barnhardt, personaggio importante nel primo film qui fa una comparsata di due minuti due. Il resto del tempo è dedicato ai continui attacchi militari, unico aspetto che ci si è presi la briga di curare. Il Segretario alla Difesa è infatti l'unico personaggio interessante, una donna (Kathy Bates), che fin da subito predilige l'uso della forza, prima negando all'alieno di parlare all'ONU e poi imbastendo una guerra nella miope convinzione di poter respingere il pericolo come fosse un qualsiasi attacco russo. E' interessante vedere come reagisce il potere costituito ad una simile situazione, un comportamento nel complesso credibile e che riesce a comunicarne il messaggio critico. Per tutto il resto però, buio totale. L'impressione è quella del tentativo di distacco dal primo film, senza però saper riempire i buchi con qualcos'altro.

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Vogliamo parlare degli attori? Keanu Reeves ormai si è cristallizzato in Neo di Matrix. E' sempre lui, lo stesso personaggio che si sposta semplicemente da un film all'altro. Jennifer Connelly insieme a Kathy Bates sono le migliori in campo, ma la sua dottoressa Benson non si discosta purtroppo dallo stereotipo di spalla femminile uguale a quella di altri mille film. Jaden Smith interpreta invece un piccolo bastardello rompiballe. La scelta coraggiosa di rappresentare un bambino difficile si perde nel poco tempo che gli si dedica ed accumula troppo rancore nello spettatore per essere perdonato nella breve catarsi finale.

Dell'ultimatum alla Terra, a dispetto del titolo, non vi è traccia. Klaatu non fa infatti nessun ultimatum, mentre le fantomatiche parole "Klaatu, Barada, Nikto" sono pronunciate come un sibilo, distinguibili solo per chi le conosce già. In compenso egli ha un repentino quanto inspiegabile cambiamento di opinione sulla razza umana. Un minuto prima è intenzionato a sterminarla ed un minuto dopo rischia la vita per salvarla. Nel finale si compie un ulteriore passo nel grottesco concludendo in uno dei modi peggiori che memoria d'uomo ricordi, giusto per non lasciarci nel dubbio di aver visto qualcosa che avesse un minimo di valore. Siamo di fronte infatti ad una enorme e costosissima scatola vuota, sia di contenuti che di intrattenimento. Era difficile, davvero, fare peggio di così.

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K-PAX (2001)

[K-PAX - Da un altro mondo] - (K-PAX) - USA/Ger - Drammatico - 125'
di Iain Softley

Un uomo dichiara di essere un extraterrestre e viene ricoverato in un ospedale psichiatrico. Il dottor Powell si occupa del caso e lentamente si insinua in lui il dubbio che l'uomo non stia mentendo.

Kevin Spacey


Qualche giorno fa mentre guardavo Ultimatum alla Terra del 1951, in attesa di vedere il remake uscito ieri, una scena mi ha ricordato il film del quale sto per parlarvi. In teoria dovrebbe essere il contrario dato che K-PAX è stato girato mezzo secolo dopo. Ma tant'è.

In Ultimatum alla Terra l'alieno Klaatu vuole parlare con un eminente scienziato e come credenziali gli risolve una complicatissima equazione alla quale il luminare stava lavorando da mesi. In K-PAX il sedicente alieno Prot (eh, si chiama così) mostra a degli esìmi ed increduli astronomi le orbite esatte di uno sperdutissimo sistema solare che studiavano senza successo da tempo. K-PAX ha perciò copiato la scena, o perlomeno la funzione della scena nella narrazione ovvero un modo sicuro per farsi credere. Tuttavia in K-PAX essa assume un significato ancora più importante perché il film è incentrato proprio sul dubbio che Prot sia davvero solo un abile mistificatore. E' un dubbio che attanaglia non solo il dr. Powell ma anche lo spettatore più smaliziato. Questa scena rappresenta un punto di svolta in cui non solo si disgrega miseramente lo scetticismo dei dotti ma anche noi che fino a quel momento siamo stati sapientemente tenuti in bilico tra il credo/non credo veniamo finalmente posti di fronte all'evidenza di una conoscenza non umana. Ma lo psichiatra, il medico, l'uomo di scienza non si rassegna, si appiglia a ciò che lui è, alle verità che fino a quel momento riteneva indiscutibili, ed ecco che la storia svolta di nuovo.
Se un film di due ore riesce a tenere viva l'attenzione con questo unico pretesto vuol dire che è stato congegnato bene. D'altronde Ian Softley è lo stesso che quattro anni dopo dirigerà The Skeleton Key, un thriller/horror assolutamente ben fatto e sicuramente originale.

Non siamo però di fronte ad una pellicola priva di difetti. Uno è la lunga scena a casa dello psichiatra, piena oltre misura di miele e buonismo oltre che di stracotti luoghi comuni sulla famiglia americana ed una improbabile conclusione. Ancora più tremenda è la scena dell'ultima seduta di ipnosi, insensata in sè, scritta male e recitata peggio. Elementi che disturbano, devo dire, l'equilibrio del film e lo fanno apparire più convenzionale di quello che è, o avrebbe voluto o potuto essere.

Il finale è il risultato di una indubbia difficoltà a risolvere in modo soddisfacente e non banale l'intera questione e, per quanto non esalti, tutto sommato riesce bene nell'intento.

Insomma K-PAX poteva essere migliore, e dispiace, ma nel complesso il risultato supera la sufficienza e si guadagna il bollino verde.

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Passengers (2008)

mercoledì 10 dicembre 2008

[Passengers - Mistero ad alta quota] - (Passengers) - USA - Thriller - 96'
di Rodrigo Garcia

Un aereo precipita e miracolosamente alcuni passeggeri si salvano. La giovane dottoressa Summers è incaricata dell'assistenza psicologica ai sopravvissuti e durante i colloqui emerge una verità diversa da quella ufficiale della compagnia aerea.

Come rovinare una buona sceneggiatura? Affidandola ad un pessimo regista.
Sì perchè la storia di Passengers di per sè non era male, niente di che, intendiamoci, ma congegnata discretamente, una buona dose di mistero dispensato oculatamente che poteva appagare gli amanti del genere e non solo. Intrighi occulti, gente che scompare e immancabile finale sensazionale erano gli ingredienti giusti per realizzare un qualcosa di soddisfacente e, perchè no, anche di più. Peccato che la regia di Garcia riesca a rovinare tutto ciò che poteva esserci di buono. Le scene sono a livello di telefilm, una su tutte la notte d'amore dei due protagonisti che sembra uscita dalla peggiore finction di Rai1. In generale il film procede piattamente, con sporadici momenti imbarazzanti (vedi la scena sul tetto), trascinandosi verso l'attesissimo colpo di scena che quando finalmente arriva non può che puzzare tremendamente di già visto. Tutto appare fatto male, qualsiasi aspetto è banalizzato, trattato stancamente, e già a metà della visione è la noia a farla da padrona. Avevo riposto molte aspettative in questo film, nonostante le critiche negative che già da parecchio riceveva un po' ovunque. Non sarebbe stata la prima volta che la mia opinione fosse in disaccordo con la critica (de gustibus...). Purtroppo non è questo il caso.

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Bolt (2008)

domenica 7 dicembre 2008

[Bolt - Un eroe a quattro zampe] - (Bolt) - USA - Animazione - 97'
della Walt Disney Picture

Bolt crede di essere un cane dai superpoteri mentre è in realtà la star di una nota serie televisiva. Durante una puntata dello show la sua padroncina Peggy viene rapita e Bolt ignaro che si tratti di finzione scappa per ritrovarla.

I primi 10 minuti sono mozzafiato, una lunga sequenza di ottima azione con tanto di bullet time (alla faccia di Max Payne). Pochi minuti e siamo già stati prepotentemente tirati dentro la storia, per scoprire un attimo dopo che in realtà era tutto finto, semplicemente la scena di un serial. Già questo colpo di scena/spiazzamento iniziale basta a far innalzare la lancetta del gradimento di parecchie tacche. Ma ovviamente la storia è appena iniziata. Bolt è un road movie, in cui Disney si distacca ancora una volta dallo style nouveau della sua Pixar per riprendere le dinamiche narrative disneyane classiche. Parlo di una storia semplice e lineare con degli animali antropomorfi dalla fortissima caratterizzazione che fanno da portante all'intera proiezione. Ed infatti sono loro il vero punto di forza del film, studiati a fondo nella personalità, in un continuo contrasto tra la loro umanità e animalità. Bolt, il cane fedele e coraggioso, doppiato in Italia da un Raoul Bova in gran forma, dovrà affrontare la sfida più ardua: vedersela con sè stesso. La gatta Mittens, furba e materialista, è semplicemente fantastica, anche lei dovrà affrontare il proprio Io e un percorso di cambiamento ed autocoscienza parallelo a quello di Bolt. Il criceto Rhino è la mascotte, elemento ironico del trio, che in realtà fa ridere poco ma è abbastanza isterico da risultare simpatico. Infine gli spassosissimi piccioni, esilaranti, specialmente nelle loro movenze riprodotte in modo geniale, e presentati come riferimento sociale dei luoghi che visiteranno i nostri eroi. La grafica è quella già vista ne Gli Incredibili, un po' grezza ma che non si prende troppo sul serio e col suo tono caricaturale risulta gradevole fin da subito. Il messaggio di fondo è invece inverso ma complementare in quanto l'accento è posto sull'accettazione, piuttosto che sull'affermazione, di sè stessi.

La critica un po' unanime di essere rivolto più dichiaratamente ai bambini, rispetto alle recenti produzioni Disney/Pixar, la trovo pertiente fino ad un certo punto, e la quasi totale assenza di musiche è secondo me la prova più lampante del contrario. E' indubbio comunque che anche gli adulti possano godersi questo film e trarne anche loro qualche insegnamento.

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Max Payne (2008)

venerdì 5 dicembre 2008

USA - Azione - 110'
di John Moore

A tre anni dall'omicidio della moglie e della figlia, detective della polizia continua a cercarne il colpevole per ottenere la sua vendetta.

Tratto dall'omonimo, famoso videogioco, Max Payne dovrebbe essere un film d'azione, ma che di azione, ahiloro, ne ha davvero poca. Interpretato da un Mark Wahlberg ai minimi storici, Payne risulta un personaggio piatto e monocorde che si trascina pesantemente all'interno di una storia lenta e confusa, con lunghi, lunghissimi tempi morti allo scopo di trovare il bandolo di una matassa ben chiara sin dall'inizio, per giungere poi ad un vergognoso finale aperto che prelude addirittura ad un secondo capitolo! Una sceneggiatura scritta coi piedi e nel complesso un film diretto allo stesso modo danno l'impressione che qualcuno si sia adagiato sugli allori del prestigioso brand senza curarsi un minimo dei contenuti e della confezione. Non ho mai giocato al videogame ma sono libero da qualsiasi pregiudizio quando affermo che Max Payne è un film pessimo, il peggiore che abbia visto quest'anno e tra i più inutili di sempre.

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Bubble (2005)

domenica 30 novembre 2008

USA - Drammatico - 73'
di Steven Soderbergh

In una fabbrica di bambole lavorano Kyle, ventenne ipoattivo, e Martha, una donna di mezz'età che vive col padre paralitico. Quando Rose viene assunta in fabbrica attira subito le attenzioni di Kyle scatenando la gelosia di Martha. Pochi giorni dopo Rose sarà strangolata nel suo appartamento.


Il ritratto di un'America periferica e operaia vissuta da personaggi alienati che tirano avanti per inerzia le loro grigie esistenze. Arriva una ragazza un po' stronza, opportunista, con il sogno di andarsene, ed ecco che questo equilibrio divino si spezza e ci scappa il morto, lei, appunto. Si dice che sia stato girato in tre settimane, senza copione, con attori non professionisti reclutati in loco e meno di 2 milioni di budget. Fatto sta che questo Soderbergh d'auteur risulta forse il migliore che conosciamo. Lo stile è asciutto, con tutti gli elementi ridotti al minimo sindacale: scene, dialoghi, personaggi. La regia è poco americana, sembra più una mano europea, le inquadrature statiche come i personaggi che ci stanno dentro, perennemente seduti. Nessun movimento di camera, montaggio secco e campi lunghi persino dentro casa. La sceneggiatura risponde a questa ricerca di essenzialità, gli eventi si susseguono schematici e regolari senza sbavature o ridondanze di sorta, per poi ottenere, giustamente, un film ai limiti del mediometraggio. Il dramma si tinge di venature gialle in cui gli indiani sono meno di dieci ma la soluzione del caso è tutt'altro che scontata.

Mi sono chiesto da dove provenisse il titolo e mi sono anche dovuto rispondere, dato che nessuno lo spiega. Probabilmente si riferisce alle bambole, bolle, involucri vuoti, esattamente come i nostri protagonisti che le costruiscono, o forse alla bolla di apatia che li ricopre, o ad entrambe le cose. Oppure sarà dovuto al finale alternativo che si riferiva ad un tumore, una bolla appunto? Fatto sta che è incredibile come la semplice capoccia di una bambola possa essere così dannatamente inquietante. Sarà il cinema che ci ha abituati a fantocci maligni o è un qualcosa di più antropologico e ancestrale? Molte domande, ma che alla fin fine mi sto ponendo arbitrariamente, perchè in questo film ci sono pochi lati oscuri, tutto è tristemente come appare.

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Lasciami entrare (2008)

giovedì 27 novembre 2008

(Låt den rätte komma in) - Svezia - Horror - 114'
di Tomas Alfredson

"Ho dodici anni. Ma ne ho dodici da molto tempo."

In un quartiere alla periferia di Stoccolma si consuma la storia d'amore e di sangue di Oskar, dodici anni, ed Eli, una vampira apparentemente della stessa età.


In anticipo di un giorno dall'anteprima italiana al festival di Torino recensiamo questa produzione svedese che sta facendo parlare di sè tanto che, non ancora distribuito, già si preannuncia un remake made in USA. Noi ubicati a circa ventiquattro ore di automobile dal capoluogo piemontese li battiamo sul tempo ma non, purtroppo, sulla grandezza dello schermo.

Chiariamo subito un concetto: le voci sono fondate, questo film è magnifico.
Prima di scrivere una recensione è automatico soppesare lati positivi e negativi per raggiungere un giudizio complessivo. A volte capita però che ciò che hai appena visto ti ha appagato e soddisfatto, stupito soprattutto, a tal punto che non hai nessuna intenzione di andare a cercare le imperfezioni, semmai anche provandoci riuscissi a trovarle. Lasciami entrare è proprio uno di questi casi.

Alfredson confeziona un film imperneato sull'implicito, sul non visto, sul fuori campo, lasciando all'immaginazione dello spettatore il compito di ricostruire i vuoti visivi e narrativi. Se per qualcuno potrebbe essere un grosso limite, qui ne abbiamo una delle massime espressioni e la scena finale in piscina ne è l'apoteosi.


Lina Leandersson
Avete presente la piccola Claudia di Intervista col vampiro? Bene, scordàtela. Abbiamo a che fare con un personaggio molto più complesso ed intrigante. La figura poetica e letale di Eli è dotata di una ambiguità che si va pian piano delineando, sequenza dopo sequenza, inesorabile, come la bocca di una bambina macchiata del sangue delle sue vittime, rendendoci consci e partecipi dell'ineludibilità del male, un male in questo caso naturale, forse inconsapevole, ma mortale sia per il corpo di chi lo nutre che per l'anima di chi lo abbraccia. Oskar probabilmente non ne è cosciente, ma la scelta di amare una vampira influirà sul suo destino in maniera tristemente distruttiva. Nessuno tuttavia commette errori, ognuno risponde alla sua natura e ne sconta le relative conseguenze.

Il perché del titolo risiede nel divieto, che ogni vampirologo che si rispetti conosce bene, di entrare in una casa senza essere stati espressamente invitati. Nel film è anche presente un retroscena riguardante Eli, raccontato, già come altri elementi, in modo non esplicito ma lasciandolo intendere ampiamente, che rende il personaggio, e la storia in sè, ancora più particolare.
Una curiosità è che Eli è interpretata da due attrici, una bambina ed un'adulta che appare per brevi sequenze. Gli attori da applausi tutti, nonostante la giovane età, e lo stesso vale per il regista che dimostra una sapienza da veterano benché sia solo al suo secondo lavoro al cinema. Effetti speciali e make-up efficaci ed usati con oculata parsimonia. La fotografia (ah la fotografia!) è contrasto, è sangue caldo sulla neve gelida, è colore su un perenne sfondo bianco, è la vita che sopravvive alla morte circostante.

Facciamoci una domanda: è possibile fare oggi un film sui vampiri, dopo la quantità di pellicole realizzate a riguardo nei decenni, lasciare intatti i tratti tipici di questo personaggio ed ottenere un prodotto innovativo, ispirato, coinvolgente, affascinante? La risposta si trova in questo film.

nove


Al cinema dal 9 Gennaio 2009


Sottotitoli:
credo di fare una cosa gradita a chi non ha dimestichezza con l'inglese, e non solo, fornendo i sottotitoli in italiano. Dato che pur cercandoli non sono riuscito a trovarli ho idea che fino adesso non esistessero. Devo ammettere che è stato un lavoraccio, ma penso che questo film se lo meriti.

Scarica i sottotitoli in italiano
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Distretto 13: le brigate della morte (1976)

martedì 25 novembre 2008

(Assault on Precint 13) - USA - Thriller - 91'
di John Carpenter

Una stazione di polizia in procinto di chiudere viene assalita da un gruppo di malviventi intenzionati a vendicare la morte del loro compagno: il suo assassino si è rifugiato all'interno.


A suo modo sperimentale,
quest'opera seconda del maestro Carpenter ci propone due elementi caratteristici. Il primo, fortemente d'impatto, è l'ambientazione, il distretto di polizia in disuso isolato dalla metropoli, come già indicato dal titolo forse il vero protagonista, offre lo scenario perfetto allo sviluppo della vicenda. Il secondo fattore importante è la provenienza misteriosa del pericolo, gli assaltatori sono almeno una ventina ma noi conosciamo i volti solo di tre di loro, i quali, dalla metà in poi, si perdono e confondono nella minacciosa oscurità circostante. Non parlano, non sappiamo come interagiscono tra di loro, sono malvagi, sono il male, e non ci è dato sapere altro. Questa caratterizzazione minimal dell'antagonista dà al film una piacevole venatura surreale.

La narrazione soffre tuttavia di una certa approssimazione, si dilunga all'inizio e risolve in fretta alla fine. I personaggi, alcuni interessanti, vedi la protagonista femminile, altri meno, come il tenente, troppo pallido, a dispetto della sua carnagione, per fare da protagonista, che viene sopraffatto ben presto nel ruolo principale dal galeotto dall'animo buono Wilson, detto "Napoleone". Lontano da quel poema vivente che sarà Jena Plissken in Fuga da New York ('81), Wilson risulta anche lui stereotipato e abbozzato, un eroe non abbastanza anti-eroe, privo di sfaccettature ed eccessivamente positivo per essere convincente.

Questa pellicola entusiasmò critica e pubblico di trent'anni fa, e tutt'ora molti estimatori gridano al capolavoro se non, addirittura, al miglior film di Carpenter. In realtà, apprezzabile più per gli spunti registici e le atmosfere che per il film in sè, visto (o rivisto) oggi Distretto 13 appare come un film d'autore, già carpenteriano, ma soltanto lo spiraglio dal quale si è sprigionato e poi espanso il genio visionario del regista in vere perle cinematografiche, quali La Cosa ('82) ed Essi Vivono('88), per dirne un paio di sicuro valore, nella sua filmografia successiva.

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Symbiosis (2006)

venerdì 21 novembre 2008

[Symbiosis - Uniti per la morte] - (Like Minds) - Australia/UK - Thriller - 110'
di Gregory J. Read

Una psicologa indaga sui fatti che hanno preceduto il ritrovamento di Alex accanto al corpo senza vita del suo compagno di college.

La lentezza con cui sono raccontati gli avvenimenti di questo confuso thriller psico-esoterico non basta a far annoiare ma suscita nello spettatore aspettative poi non ripagate. Belli gli scialbi paesaggi scozzesi.

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Angel-A (2005)

martedì 18 novembre 2008

Francia - Commedia - B/N - 90'
di Luc Besson

Sul punto di suicidarsi André si imbatte in una bellissima ragazza che lo aiuterà a riscattarsi.

Angel-A è un atto d'amore, come si è detto, di Besson per la sua città, Parigi, visitata, ammirata, vissuta dai due protagonisti e ritratta come in cartolina, in ogni sequenza, dal regista. Ma l'atto d'amore, di per sè, non basta a scagionare un film che suscita, dopo un po', principalmente noia. Ebbene sì, non è bello parlar male di Besson, specie sotto il profilo dell'intrattenimento, dato che di solito ai suoi film non manca certo l'azione, ma Angel-A, bisogna dirlo, non convince affatto. E' solo la bellezza di Rie Rasmussen a tenerci incollati alla poltrona, dotata di un fascino esasperante, sovrumano, che si adatta e sovrasta quello della città che le fa da sfondo. La storia d'amore è di certo scadente, poco credibile, forzata e affrettata in un finale semplicistico e raffazzonato. Se volessimo vedere il film come la redenzione di un uomo dal fallimento, un inno all' ama te stesso, avremmo da obiettare che per novanta minuti succede poco o nulla, e a parte due-tre scene interessanti, il resto della proiezione è mera pellicola in più.

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Tutta la vita davanti (2008)

lunedì 17 novembre 2008

Italia - Drammatico - 117'
di Paolo Virzì

Marta, una ragazza siciliana appena laureata con lode in Filosofia cerca di inserirsi nel mondo del lavoro. Trova un impiego come telefonista dove verrà a contatto con la dura realtà del precariato.

Virzì aveva già affrontato alcuni dei temi di questo film in Ovosodo ('97) seppure in termini diversi e fatti i dovuti paragoni per due epoche differenti. In primis il passaggio dalla giovinezza all'età adulta, in entrambi i casi duro ed improvviso, e in secundis il ritratto di un'Italia concreta ed operaia (ma anche sognatrice) nel primo caso, triste precaria e vuota nell'altro. Il call-center di Marta è un microcosmo facilmente affiancabile all'Italia stessa in cui dietro balli, canti e grandi sorrisi si nascondono il marciume, l'ipocrisia e la tristezza di esistenze infelici. In dieci anni il nostro Paese è cambiato radicalmente, il sogno socialista di un posto fisso in fabbrica e una bella moglie ad aspettarti a casa ("forse la felicità" [cit.]) sembra appartenere a tempi lontani e dimenticati. Il personaggio di Giorgio, un sindacalista evitato, denigrato e fuori luogo, interpretato da un sempre ottimo Valerio Mastandrea, è un po' il feticcio di quel tempo ormai passato.

Tutta la vita davanti è un film di denuncia, che fotografa la giovinezza con tono rassegnato. Il messaggio è quello di non adeguarsi, di non farsi inglobare, rimanere sè stessi ma senza velleità di cambiare le cose.

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The Orphanage (2007)

mercoledì 12 novembre 2008

(El Orfanato) - Spagna/Messico - Horror - 105'
di Juan Antonio Bayona

Una coppia con il figlio si trasferisce in un vecchio orfanotrofio con l'intenzione di trasformarlo in una casa famiglia per bambini bisognosi. Durante l'inaugurazione il bambino scompare senza lasciare traccia.

A differenza di Sam Raimi, che ha prodotto insulsaggini del calibro di 30 Giorni di Buio o del mediocre Boogeyman, Guillermo del Toro, produttore e promotore di questo film, sembra puntare su un cavallo vincente. Bayona ha tutte le carte in regola per entrare a far parte della cerchia degli esponenti dell'horror iberico, al fianco di Balaguerò, Amenabar e Del Toro stesso.


The Orphanage riprende quel concetto di horror psicologico basato su atmosfere e sensazioni piuttosto che su reali scene di orrore, anche se, in qualche occasione, il regista ci regala un paio di immagini davvero disturbanti. Il film è pieno zeppo di citazioni di altri film come Shining, Poltergeist, Nameless, La Spina del Diavolo, Il Sesto Senso, e la struttura che vede il protagonista cercare di ricostruire indizi perduti nel tempo è quella classica degli horror nipponici del genere The Ring o The Grudge. In questo tripudio di clichè non poteva mancare il colpo di scena rivelatore nel finale.

Tuttavia, pur non potendosi definire inusuale, The Orphanage risulta un film originale, rimescola fatti e situazioni già viste ed ottiene un prodotto nuovo che offre un buon intrattenimento. Come opera prima non c'è male, e lo stesso Del Toro in Cronos ('92) non credo abbia saputo fare di meglio.

sette


Al cinema dal 14 Novembre
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Fratello, dove sei? (2000)

(O Brother, Where Art Thou?) - USA - Commedia - 106'
di Joel & Ethan Coen

Tre galeotti condannati ai lavori forzati scappano e vanno a recuperare il bottino di una rapina. Lungo il viaggio incontreranno strani ed ambigui personaggi e saranno protagonisti di vicende ai limiti dell'incredibile.


Che i fratelli Coen sappiano fare cinema l'abbiamo capito. La domanda è: che genere di cinema fanno? O meglio, è un genere di cinema che ci piace? La risposta è: dipende.

Dipende se abbiamo voglia di vedere un film che sarà comunque particolare, se ci va di guardare una commedia nera, in certi casi pulp; se ci va un po' di intrattenimente crudo e raffinato ma senza troppe pretese. Se invece sentissimo il bisogno di qualcosa di più impegnativo (e impegnato) allora meglio scegliere qualcos'altro in videoteca.

Sì perché in Fratello, dove sei? si ripetono tutti i punti forti e deboli dei nostri due fratelli registi. Sicuramente personalità e creatività, sia in regia che in sceneggiatura. D'altro canto non è da meno l'assoluta mancanza di qualsiasi messaggio nascosto o esplicito in tutto il film. In questo come negli altri alla fine della visione non rimane nulla, solo una carrellata di momenti e personaggi dei quali nessuno ha lasciato il segno o ci ha insegnato qualcosa. Molte situazioni ma pochi contenuti.

In ogni caso tra le commedie leggere si attesta sicuramente come opera minore rispetto ad altre della loro filmografia.

Il voto è sei e mezzo
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Premi dai bloggers

martedì 11 novembre 2008

6 Dicembre 2008
ricevuto da Iole
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